“Se i dazi arrivano al 200%, rischiamo di far sparire il mercato americano. Non è proponibile arrivare negli USA con tariffe del genere, soprattutto nel settore del vino e dell’olio”. Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, è preoccupato. Non solo per olio e vino: i dazi Usa mettono in pericolo un mercato da 9 miliardi di euro. Per Giansanti basta tenere a mente la lezione imparata con la prima amministrazione Trump: “Con dazi del 25% abbiamo avuto una minore vendita sul mercato del 30%. Se si arriva al 200% il risultato diventa zero”.
Qual è la situazione attuale nei rapporti commerciali con gli Stati Uniti?
Sono molto preoccupato. Mentre con gli agricoltori c’è un’affinità di visione sulla necessità di produrre di più, negli incontri con l’amministrazione americana si è capito che il 2 aprile sarà una giornata difficile per gli europei. Un “Big Bang”. Gli americani ritengono che la loro bilancia commerciale debba essere riportata almeno in pareggio, essendo oggi negativa, soprattutto nel settore primario con l’Europa.
Quali sono le principali preoccupazioni oltre ai dazi?
Mi preoccupano soprattutto le barriere non tariffarie, ovvero gli standard di sicurezza alimentare. L’America ha da sempre una posizione diversa dall’Europa, e faccio riferimento soprattutto al Green Deal. Temo che si discuterà tanto di barriere tariffarie quanto di barriere non tariffarie. Si tratta di un mercato importante e fondamentale per l’Italia, per le nostre tradizioni gastronomiche, che non è facilmente ricollocabile in altre parti del mondo. Mi auguro e spero che da qui al 2 aprile si possano trovare soluzioni negoziali tali per cui non si debba arriuvare all’applicazione dei dazi. Anche perché poi dovremo capire come reagire in Europa: non possiamo di andare fuori dal sistema delle regole del Wto, dovremo proteggere i nostri prodotti.
Quali settori e regioni italiane sarebbero più colpiti?
Il settore del vino e dell’olio da Nord a Sud, da Est a Ovest. L’intero settore agroalimentare sarà colpito, un mercato che vale complessivamente 9 miliardi di euro. Dalle passate di pomodoro del sud fino ai vini del Trentino. Faccio l’esempio del Prosecco: gli Usa sono un ottimo mercato di esportazione.
Quali sono le possibili conseguenze per le aziende italiane?
Con dazi al 200%, rischiamo di far sparire il mercato americano. Non è proponibile competere in queste condizioni, soprattutto nel settore del vino e dell’olio. Anche per le commodities di base come la pasta, diventa difficile competere con prodotti qualitativamente inferiori ma molto più economici, come la pasta prodotta in Turchia.
Quali sono le tempistiche previste?
Il primo aprile verranno presentati i dati al Presidente Trump, il 2 aprile annuncerà se imporrà o meno i dazi. Da lì si aprirà una nuova fase e l’Europa dovrà decidere come reagire.
Cosa può fare l’Europa per aiutare le imprese colpite?
Dobbiamo valutare l’impatto dei dazi, ma certamente entro giugno dovremmo capire se i paesi avranno il coraggio di innalzare il livello di finanziamento del bilancio UE dall’attuale 1,04% ad almeno il 2%. Solo con più risorse riusciremo a far fronte agli effetti dei dazi.
Cosa abbiamo imparato dalla precedente amministrazione Trump?
Di fronte a un attacco come quello oggi evocato, bisogna reagire con altrettanta fermezza. La volta scorsa l’abbiamo subito, ora rischiamo di non doverlo subire. Dobbiamo cercare di arrivare a un nuovo trattato bilaterale che possa portare vantaggio tanto all’economia americana quanto a quella europea.
Il coinvolgimento delle associazioni di categoria è sufficiente?
Stiamo facendo il possibile e l’impossibile per proteggere le nostre imprese. Ora la palla è in mano alla Commissione europea e ai leader dei 27 Stati membri.