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Marcello Foa e il documentario su Federico Faggin, papà del microchip

FEDERICO FAGGIN MARCELLO FOA COURTESY ZETAGROUP
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Velasco25 Articolo

“Prima di Federico Faggin la Silicon Valley era semplicemente la Valley”. Con le famose parole di Bill Gates, l’ex presidente della Rai Marcello Foa sintetizza l’importanza del padre italiano del microchip, protagonista di un nuovo documentario che il giornalista ha diretto e che sta presentando in questi giorni, anche in un evento alla Camera dei Deputati. Il documentario andrà in onda su Rai e Radiotelevisione svizzera: di questo e di altro abbiamo parlato con Foa.

Come è nata l’idea di realizzare un documentario su Federico Faggin?

L’idea mi è venuta perché ho avuto il privilegio di intervistare Faggin diverse volte. La sua è una storia incredibile di un grandissimo italiano, paragonato a Fermi e Marconi. Ha inventato il microchip, il touch pad, il touchscreen, rivoluzionando il mondo della tecnologia. Un italiano che dagli USA ha cambiato il mondo, ma che in qualche modo è stato tenuto ‘nascosto’: a lungo hanno cercato di negargli la paternità dell’invenzione del microchip. Quello che abbiamo realizzato con Alessandro Visciano e Paolo Guerrieri è un documentario di 52 minuti, realizzato con la casa di produzione veneta Zeta Group in collaborazione con Rai Documentari e la radiotelevisione svizzera italiana. La lavorazione è iniziata lo scorso giugno. Include testimonianze della moglie, che ha avuto un ruolo cruciale nel suo successo, e della figlia. Abbiamo cercato di realizzarlo restituendo tutto il pathos di una storia umana vera, coinvolgente, con un’evoluzione spirituale incredibile.

Qual è stata l’importanza di Faggin nel mondo della tecnologia?

Faggin ha iniziato a lavorare negli anni ’70, agli albori del microchip, e ha continuato la sua carriera scientifica e imprenditoriale fino agli anni 2000. Obama lo ha premiato con la massima onorificenza americana (la Medaglia nazionale per la tecnologia e l’innovazione, ndr). Ha avuto un impatto incredibile con le sue scoperte scientifiche per oltre quarant’anni.

Diceva di una “evoluzione spirituale” di Faggin negli ultimi anni.

Faggin si è reso conto che, nonostante i suoi enormi successi e soddisfazioni economiche, mancava qualcosa. Il suo messaggio è che dobbiamo vivere nella nostra epoca, ma al contempo interrogarci su un’altra dimensione. Come uomo di scienza, la sua ambizione sarebbe dimostrare su basi scientifiche l’esistenza di una realtà spirituale superiore.

Che lezione possiamo trarre dalla storia di Faggin, che ha fatto la sua fortuna all’estero, per l’Italia?

Ancora oggi secondo lui il nostro Paese produce menti eccezionali. Ma l’Italia tende a non incentivare l’esplosione dei talenti. Molti giovani capaci lasciano il paese per mancanza di opportunità. È un problema profondo che va oltre la politica e riguarda aspetti della cultura sociale italiana.

Passiamo alla sua carriera: ha un nuovo ruolo alla Scala.

Sono consigliere d’amministrazione della Scala da circa un mese, nominato su indicazione del ministro Giuli. Ho un legame familiare con la lirica (mia madre era cantante) e, come ex presidente della Rai, ho sostenuto molto il mondo della lirica, specialmente durante la pandemia: all’epoca, ricordo la famosa prima della Scala senza pubblico. Spero di poter contribuire a incrementare ulteriormente la visibilità e il prestigio della Scala.

La sua è stata una figura ‘divisiva’, con polemiche relative a complottismo e fake news. La scelta di questo documentario cosa rappresenta per il suo modo di fare comunicazione sulla scienza?

Ho avuto il privilegio di crescere nella scuola di Indro Montanelli, ho sempre avuto il bisogno di andare in profondità nelle mia analisi e nei miei lavori, e con il documentario su Faggin ho avuto modo di confermarlo. Purtroppo sono stato oggetto di polemiche politiche, soprattutto quando fui nominato presidente della Rai. Ma credo sia un male della politica e del mondo della comunicazione di oggi, che tende a screditare le persone. Chi ha lavorato con me ha un ricordo molto positivo del mio operato e mi ricorda come una persona moderata, non divisiva.

Qual è la sua opinione sulle fake news e la disinformazione oggi?

È un tema centrale che va analizzato con competenza. Uno studio dell’Oxford Internet Institute mostra che la disinformazione sui social media assume proporzioni enormi ormai in decine di paesi. Spesso anche noi giornalisti siamo involontari veicoli di disinformazione. Il tema andrebbe affrontato con una capacità di critica e autocritica che manca alla nostra categoria. Il risultato è che la gente non crede più ai media.

 

FOTO IN EVIDENZA COURTESY DI ZETAGROUP

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