In Turchia serve la laurea per candidarsi alle presidenziali. Altro che valore legale del titolo di studio: Ankara richiede, per legge, il requisito specifico di un percorso universitario concluso con successo.
Imamoglu, sindaco di Istanbul dal 2019 e uno dei più pugnaci oppositori del presidente turco Erdogan, era il favorito per essere il candidato del Partito popolare repubblicano. Stamane, poco prima dell’alba, Imamoglu è stato arrestato, come racconta in un video postato su X mentre si annoda la cravatta nella sua abitazione circondata dagli agenti di polizia.
“Siamo di fronte a una grande tirannia ma sappiate che non mi arrenderò – ha dichiarato il sindaco – Vi amo tutti moltissimo. Mi affido alla mia nazione. Tutto il mio popolo sappia che rimarrò in piedi, saldo. Combatterò contro quella persona e contro la mente che ha utilizzato tutta questa situazione come uno strumento”.
Le accuse che ne motivano la detenzione riguardano presunti casi di corruzione e legami con il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, considerato dal governo di Ankara un gruppo terroristico.
Che le cose si stessero mettendo male per lui era chiaro da ieri quando l’ateneo di Ankara ha annullato il diploma di laurea di Imamoglu sostenendo che alcuni documenti del suo ciclo di studi – era il 1990, il sindaco studiava management – sarebbero stati falsificati.
Così l’annuncio della sua candidatura alle prossime presidenziali, atteso nei prossimi giorni, è stato rinviato sine die.
Non sappiamo che cosa accadrà alla giovane democrazia turca, sempre più in balìa dei capricci e delle ambizioni smisurate del presidente Erdogan che mira a un terzo mandato ma deve fare i conti con il calo di consenso.
Imamoglu è un avversario temibile: islamico moderato, liberale, sua moglie non indossa mai il velo (a differenza della coniuge del presidente in carica).
Già nel 2019 Imamoglu vinse le elezioni a Istanbul strappando la città più popolosa del Paese al partito di Erdogan che la guidava da un quarto di secolo. Il voto fu annullato, per presunte irregolarità denunciate dagli erdoganiani, e venne ripetuto. Imamoglu vinse anche la seconda volta.
C’è stato un tempo in cui si favoleggiava di un possibile ingresso della Turchia nell’Unione europea. C’è stato un tempo in cui Erdogan faceva sognare un Paese più moderno e laicizzato. C’è stato un tempo in cui la Turchia, membro Nato, sembrava poter far parte a pieno titolo di un “Occidente allargato”.
Oggi possiamo dire che quel tempo è alle nostre spalle. L’arresto del principale capo dell’opposizione è qualcosa che l’Europa semplicemente non può accettare.
L’appello a non perdere di vista la libertà come pilastro del vivere civile, contenuto nel discorso del vicepresidente Usa J.D. Vance alla Security Conference di Monaco, deve metterci in guardia dal rischio di trasformare la democrazia in burocrazia, svuotandola di significato e sostanza.
È accaduto anche in Romania con l’esclusione dalle presidenziali del candidato filorusso, uscito vittorioso dalle elezioni dello scorso novembre (poi annullate dalla Corte costituzionale).
Le ingerenze stranieri esistono, in Romania come in Italia, in Francia, negli Usa, ma una democrazia matura deve saper includere il dissenso.
Una democrazia non può rinnegare se stessa per fronteggiare lo spettro del “nemico interno”, né può escludere una parte politica per un cavillo burocratico o per accuse tutte da dimostrare.
Una democrazia si protegge nel voto, non dal voto. Quando accade il contrario, è una sconfitta per tutti. Mai come oggi l’Occidente deve restare compatto e unito, in gioco non ci sono soltanto questioni territoriali ma opposte visioni del mondo.