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Gli investimenti in difesa e sicurezza sono veicolo di innovazione

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Velasco25 Articolo

Certe questioni dividono e infiammano le opposte tifoserie soltanto nel nostro Paese. Il piano per la difesa europea, un po’ improvvidamente battezzato “ReArm Europe”, ha compattato il fronte pacifista e antimilitarista con un dibattito che appare lunare.

All’Europa si possono muovere diverse critiche: l’assenza di una politica estera comune, la mancanza di coesione politica, il principio unanimistico che porta con sé la logica dei veti contrapposti, i troppi ritardi e una buona dose di immobilismo, l’incapacità di giocare un ruolo in Ucraina come in Medioriente. E tuttavia l’iniziativa della Commissione europea, volta a rafforzare la difesa europea partendo da un massiccio piano di investimenti nei piani di riarmo degli Stati membri, merita il plauso: finalmente qualcosa si è mosso.

Anche se non siamo all’esercito comune europeo (che richiederebbe anche una politica estera condivisa, nonché una modifica dei Trattati), l’obiettivo di potenziare gli equipaggiamenti militari nazionali in vista delle future sfide all’ordine globale è da accogliere come un passo avanti dopo l’inconcludenza manifestata nei tre anni trascorsi dall’aggressione russa all’Ucraina.

In Italia, al di là delle piazze “per l’Europa” ma contrarie al principale progetto di rilancio europeo, si resta attoniti a sentire le argomentazioni di chi si oppone a qualunque piano di riarmo. Si blatera tanto di difesa “solo” europea per ostacolare i piani di rilancio dell’industria bellica nazionale senza comprendere l’importanza vitale di investire in un settore così strategico per la sicurezza dei cittadini.

Quando si parla infatti di tecnologie ed equipaggiamenti militari, si fa riferimento anche alla cybersicurezza, alle infrastrutture strategiche, alle materie prime critiche; in altre parole, si tocca un ambito che va ben al di là dei campi di battaglia tradizionali e che riguarda molti domini della vita quotidiana dei cittadini.

Senza contare il fatto che da sempre l’innovazione militare si è rivelata uno strumento straordinario per far avanzare la ricerca scientifica e le applicazioni civili (dual use) di innumerevoli scoperte originate in ambito difesa. Storicamente, invenzioni come Internet, Gps, semiconduttori, materiali compositivi, reattori nucleare di piccola taglia hanno radici e contributi dalla ricerca militare.

In Italia, un’azienda leader come Leonardo è attiva anche in supercalcolo, intelligenza artificiale, sistemi autonomi (droni) e quantum computing tramite i Leonardo Labs, tutte aree in cui le soluzioni studiate per scopi militari (analisi di big data, crittografia quantistica per comunicazioni sicure, simulazioni digital twin per progettare velivoli) potranno avere ricadute civili notevoli.

Leonardo, come Fincantieri (colosso nella cantieristica navale militare), deposita ogni anno decine di nuove invenzioni vantando un portafoglio brevettuale tra i maggiori del Paese. Investire nella difesa fa aumentare l’“intensità tecnologica” di un Paese, genera Pil e posti di lavoro qualificato.

Un Paese che non voglia rinunciare all’industria e all’innovazione deve puntare (anche) sulla difesa. Esistono molti dubbi sul fatto che il piano europeo raggiungerà le cifre astronomiche annunciate in pompa magna dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, e tuttavia, seppure le risorse stanziate fossero inferiori, daranno comunque un contributo rilevante al rilancio della difesa europea.

Lascia perplessi il tempismo di un’Europa che si accorge della necessità di “riarmarsi” a tre anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, quando ormai si è giunti ad una svolta propedeutica al cessate il fuoco e alla tregua. Lascia pure perplessi l’enfasi sulla “preferenza made in Europe” dal momento che diversi Paesi europei, Italia inclusa, vantano un rapporto consolidato con fornitori extraeuropei, a partire dagli Stati uniti.

Sul punto il presidente del Consiglio europeo António Costa ha chiarito: “A breve termine, dovremo comprare le armi dove sono disponibili. Ad esempio, in Europa, America, Corea del Sud o Giappone. A lungo termine, però, i nostri investimenti dovrebbero essere più decisamente indirizzati verso le industrie degli armamenti dei nostri Paesi”.

Sulla capacità di difesa (e di deterrenza) si fonda l’autonomia strategica di un Paese e di un Continente. Farsi trovare impreparati per l’ennesima volta sarebbe un errore madornale.

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