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Acque reflue: la direttiva Ue che preoccupa l’industria del pharma

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Adyen Articolo
Velasco25

I già non proprio idilliaci rapporti fra le imprese del pharma e i vertici dell’Unione europea (vedi il nuovo regolamento farmaceutico) si complicano sul ‘caso acque reflue’.

Nei giorni scorsi l’Efpia (European Federation of Pharmaceutical Industries Associations) ha presentato un ricorso presso il Tribunale dell’Unione europea per contestare gli obblighi di responsabilità estesa del produttore previsti dalla direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane. Un tema, questo, che ha provocato non pochi mal di pancia nel settore, come sa bene chi ha parlato in queste settimane con imprenditori e Ceo.

Chi inquina le acque reflue paga… non sempre

Ma che succede? E come mai un settore industriale tanto attento all’ambiente questa volta alza la voce?

Il pharma del Vecchio Continente “sta contestando la direttiva per chiedere maggiore chiarezza su come la decisione di includere solo due settori nella responsabilità del trattamento quaternario delle acque reflue urbane in Europa sia in linea con il principio ‘chi inquina paga‘ dell’Ue”, spiegano dalla Farmindustria europea.

E questo anche perchè negli ultimi anni le aziende del settore hanno investito molto  nell’innovazione, proprio per far sì che le acque reflue della produzione farmaceutica vengano trattate alla fonte e non entrino nel sistema idrico e per ridurre i residui farmaceutici nell’ambiente.

Oggi la stragrande maggioranza dei prodotti farmaceutici nelle acque – assicurano da Efpia – passa negli scarichi direttamente attraverso le deiezioni dei pazienti in terapia o lo smaltimento non corretto dei medicinali.

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Acque reflue: perchè solo cosmetica e farmaceutica?

A inquinare le acque non sono solo le imprese cosmetiche e quelle del farmaco, ragionano le associazioni degli industriali farmaceutici. “Stiamo cercando chiarezza giuridica sulla direttiva, avendo provato senza successo a ottenerla dalla Commissione europea”, ha affermato il direttore generale di Efpia, Nathalie Moll.

A lasciare perplesse le aziende, insomma, è proprio la decisione di “ritenere responsabili solo le industrie farmaceutiche e quelle cosmetiche dell’inquinamento idrico europeo, nonostante le prove suggeriscano che altri settori dovrebbero essere inclusi”.

In sintesi, Efpia ritiene che gli obblighi che la direttiva impone ai produttori di medicinali siano contrari ai principi fondamentali dei trattati Ue: “chi inquina paga”, proporzionalità e non discriminazione. Oltre che al requisito della certezza del diritto.

D’accordo anche l’associazione delle aziende europee produttrici di farmaci equivalenti e biosimilari. “Sosteniamo fermamente le azioni legali contro il sistema discriminatorio e sproporzionato di responsabilità estesa del produttore nella direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane”, ha detto nei giorni scorsi il Direttore generale di Medicines for Europe, Adrian van den Hoven, convinto che la disposizione metta “a repentaglio tutti gli sforzi per migliorare l’accesso ai medicinali”. E presto vedremo perchè.

Chi dovrebbe davvero pagare

Per il pharma europeo a pagare dovrebbero essere tutti quelli che inquinano, che dunque dovrebbero essere chiamati a sostenere i costi della contaminazione delle acque reflue “in base al volume e alla pericolosità delle sostanze di cui sono responsabili”. L’industria farmaceutica, dal canto suo, assicura la massima disponibilità “a pagare la sua giusta quota per la bonifica dei microinquinanti derivanti dall’uso dei medicinali”.

La posizione di Medicines for Europe

Come dicevamo, anche l’associazione dei produttori europei di equivalenti, biosimilari e VAM, Medicines for Europe, boccia la Direttiva 2024/3019 sul trattamento delle acque reflue urbane, che è stata impugnata davanti alla corte di Corte di giustizia Ue da dieci multinazionali del settore dei farmaci fuori brevetto (off patent).

Obiettivo, “evitare un onere di costi discriminatorio e sproporzionato e quindi a salvaguardare l’accesso dei pazienti ai medicinali essenziali”. Il fatto è che se il prezzo dei prodotti della cosmesi potrà essere adeguato a far fronte ai nuovi oneri, nel caso dei medicinali equivalenti questo non sarà possibile. Risultato? Numerosi prodotti saranno resi economicamente non sostenibili dalla nuova direttiva.

Non solo. La direttiva stima in 1,2 miliardi di euro l’anno il costo del trattamento delle acque, ma la cifra sarebbe invece drammaticamente sottostimata. Il costo reale oscillerebbe tra i 5 e gli 11 miliardi di euro all’anno, puntualizzano da Medicines for Europe.

Si rischia che determinati medicinali, come la metformina (diabete), l’amoxicillina (antibiotico) o il levetiracetam (epilessia) spariscano progressivamente dal mercato. Insomma, la misura potrebbe scatenare uno tsunami di carenze di medicinali per le malattie croniche, principalmente fuori brevetto, all’interno di un sistema che già fa molta fatica a fare (letteralmente) i conti con gli aumenti dei costi di produzione.

*Articolo aggiornato

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