Da quando il lancio di ChatGPT nel 2022 ha scatenato una frenesia per l’intelligenza artificiale nella Silicon Valley, Google sta cercando di riaffermare il suo ruolo di pioniere dell’intelligenza artificiale.
Sergey Brin, co-fondatore di Google, ha appena sostenuto che l’azienda potrebbe guidare il settore dell’intelligenza artificiale generale se i dipendenti lavorassero di più.
“Consiglio di essere in ufficio almeno ogni giorno feriale”, ha scritto in un promemoria pubblicato internamente mercoledì sera ripreso dal New York Times.
Ha aggiunto che “60 ore a settimana sono il punto debole della produttività” nel messaggio ai dipendenti che lavorano su Gemini, la gamma di modelli e app di intelligenza artificiale di Google.
Sui vantaggi dello smart working per la produttività, il dibattito è ancora del tutto aperto.
E se negli Stati Uniti le aziende tech iniziano a dire addio al lavoro da casa, in Europa c’è chi, come il Labour britannico, pensa invece a far diventare la flessibilità un diritto.
In Amazon da gennaio si è tornati a pieno organico in ufficio senza più il lavoro da remoto.
I rischi di un’applicazione troppo estesa dello smart working
Dal punto di vista delle aziende i rischi di un’applicazione troppo estesa e non organizzata del lavoro da remoto sono la difficoltà di comunicazione tra le persone, la riduzione del senso di appartenenza, la minore interazione tra colleghi e il rischio di conflitto tra dipendenti, divisi tra quelli che possono usufruirne e altri che, invece, svolgono attività che richiedono necessariamente la presenza.
Ma anche i dipendenti hanno riscontrato i limiti di un’organizzazione sbilanciata sul lavoro da casa, che porta al timore di perdere momenti di confronto e coinvolgimento, di essere marginalizzati o esclusi da opportunità di crescita o, nel caso dei nuovi inserimenti, un possibile rallentamento nell’apprendimento e maggiori difficoltà a entrare nella squadra.
L’esperienza sta dimostrando che il luogo di lavoro non è fatto solo di sedie e scrivanie, ma soprattutto di persone: è uno spazio relazionale vitale per aziende e dipendenti.
L’incontro genera creatività, innovazione, senso di appartenenza e gioco di squadra, un valore che nemmeno il più evoluto strumento di interazione online può creare.
Nel 2023 l’amministratore delegato di Ibm, Arvind Krishna, intervistato da Bloomberg, rilevò che lo smart working poteva essere “pericoloso per chi vuole fare carriera“, e la sua azienda all’inizio del 2024 ha dato sette mesi di tempo ai dipendenti per organizzarsi per garantire il rientro in una sede aziendale almeno tre giorni a settimana oppure lasciare il gruppo; una richiesta forte che ha fatto notizia, ma che ha numeri in linea con quella di altri player internazionali, come Amazon e Google, appunto, ma anche Meta e JP Morgan, società che hanno ridotto i giorni di smart working riconoscendo il lavoro in presenza come una condizione necessaria.
Giusto equilibrio tra presenza e remoto in Italia
In Italia le grandi imprese stanno individuando un giusto equilibrio tra presenza e lavoro da remoto, con numeri che vanno dagli otto giorni mensili (Terna, Eni e Leonardo) a nove (Enel e Poste) fino a 11 (Ferrovie), tendenza in linea con i dati di chi ha scelto di dare un tetto su base annua (Banca d’Italia prevede 100 giorni).
Alcune di queste aziende, ad esempio Enel, garantiscono forme di ulteriore flessibilità e giorni aggiuntivi per situazioni particolari, esigenze familiari o temporanee.
La direzione scelta da molte delle grandi aziende è di lasciare ai responsabili la facoltà di organizzare la presenza in modo da individuare il migliore equilibrio tra vita privata e necessità lavorative.