Lusso famelico. Crescita sproporzionata dei prezzi e ora il conto arriva alla cassa: le vendite sono in caduta libera, i direttori creativi stentano a trovare soluzioni per giustificare l’impennata dei prezzi e i brand si svalutano.
Che cosa sta accadendo? Perché le griffe stanno rivedendo la strategia dei prezzi?
Sappiamo tutti che il lusso è costoso, raro e ricercato, ma più di qualcuno comincia a vergognarsene, soprattutto in Oriente, dove la geopolitica diventa padrona: non è più bello quello che arriva da Occidente.
Secondo un report di Bain fra inflazione e incertezza economica, negli ultimi due anni il lusso ha perso 50 milioni di clienti, registrando una brusca frenata delle vendite in Cina.
Il calo si è presto riflesso sui volumi della produzione con un crollo fra il 20 e il 25% e un impatto sulla filiera delle piccole imprese e degli artigiani.
Sta accadendo, dunque, che si sta fermando la Cina, che per anni ha trainato il mercato con ricavi da capogiro trascinando i volumi delle maison francesi e italiane.
Neanche l’Europa se la passa bene
Ma zoppica anche l’Europa, che ha un ruolo minore nell’espansione globale dell’industria.
Il rallentamento dell’economia e i cambiamenti nelle abitudini dei consumatori stanno danneggiando i profitti di giganti come Kering e Lvmh, portando molti a chiedersi: la moda di lusso è destinata a fallire o è solo un’anomalia temporanea?
Un rapporto della società di consulenza strategica McKinsey prevede un rallentamento che potrebbe protrarsi per altri tre anni.
Il tasso di crescita globale dell’industria del lusso sarà solo dell’1-3% tra il 2024 e il 2027, trainato solo dai mercati mediorientali e dall’India.
Quali le cause
Ma a cosa è dovuta la frenata cinese?
Il calo delle vendite in parte è legato alla recente condanna da parte dei consumatori e del governo cinese dell’ostentazione della ricchezza (“luxury shame“), che sta dirottando la domanda verso prodotti più “discreti” e accessibili.
Sta avvenendo un cambio profondo nelle abitudini dei consumatori.
L’attenzione si sta spostando da orologi e abbigliamento alle esperienze di benessere e di viaggio.
Stiamo assistendo ad un mutamento culturale nella struttura dei consumi, una modifica degli stili di vita che ha portato il valore dell’esperienza a superare la gratificazione legata all’acquisto di beni.
Non c’è più l’affezione per un brand o un oggetto in particolare.
Questa ricerca di valore senza perdere di vista il tema del prezzo sta facendo crescere segmenti come il resale, l’off-price e i “dupes“.
Cioè, i prodotti che sono molto simili ad altri di grande tendenza, creati da brand meno famosi e con lo scopo di farsi acquistare da chi desidera aderire a una certa estetica senza però necessariamente possedere il prodotto originale.
La difficoltà dei marketplace online
Anche i marketplace online di massa stanno vivendo momenti di difficoltà.
I consumatori sul canale digital sperimentano sempre di più quella che viene chiamata “paralisi della scelta“: sopraffatti dall’ampia offerta online di prodotti tra cui scegliere, si sentono inibiti più che entusiasti e rifuggono l’acquisto.
I marchi con i cali maggiori
Il colosso mondiale del lusso Lvmh ha registrato nel terzo trimestre dell’anno un calo delle vendite del 5%, con un vero e proprio crollo se si guardano i numeri dell’Asia: nel 2021 (escludendo il Giappone) contava per il 35% del fatturato di Lvmh, ora per il 6%.
Anche Kering, l’altro grande gruppo della moda e principale rivale del gigante guidato da Arnault, non se la passa benissimo, specialmente se si guarda al mercato asiatico: nel 2021 realizzava il 38% delle vendite nell’Asia non giapponese, nei primi sei mesi del 2024 la quota è scesa al 32%.
I brand peggiori sono stati Dior per Lvmh e Gucci per Kering.