“Il candidato della Romania, Călin Georgescu, ha vinto il primo turno delle elezioni grazie a una massiccia campagna su TikTok”. Apre così il sito Euronews, all’indomani delle elezioni presidenziali romene.
E suonerebbe straordinario, se non fosse che già l’America – prima della Romania – ha raccontato qualcosa di simile, un’eccezione: vincere le elezioni grazie ai social.
Quante volte abbiamo sentito dire, letto, probabilmente anche dichiarato che a far vincere Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali sono stati i social?
Diverse testate internazionali, tra le più autorevoli, hanno attribuito alla tecnologia, più precisamente ai social, un ruolo determinante per la vittoria del tycoon.
Ebbene, tra chi non ha creduto a questa ipotesi e ha provato a smontare il racconto quasi fantascientifico di follower e like che si trasformano magicamente in voti, c’è Nicola Zamperini.
Giornalista professionista, già portavoce del presidente della Regione Lazio, oggi Nicola Zamperini è un imprenditore della comunicazione.
Il suo canale Telegram si chiama Disobbedienze e distribuisce chiavi di lettura e lenti di ingrandimento per interpretare il mondo digitale.
“Ho avuto la fortuna di essere stato fra i primi a navigare il web, negli anni ’90. L’ho conosciuto da vicino, l’ho vissuto come spazio, non come mezzo. Poi, da giornalista, ho lavorato in redazioni in cui si sperimentavano i primi siti, le prime presenze sui social e poi ancora la prima web tv italiana. Ebbene, questa cosa, questo spazio, questa esperienza me li sono portati dietro: oggi sono parte quasi totalizzante della mia professione. Insomma, studio la cultura digitale”.
In verità, Nicola Zamperini fa molto di più: indaga, spreme, viviseziona. Questo spazio sconfinato e poco definibile che chiamiamo digitale, ma che poco si presta alle gabbie dell’alfabeto, Zamperini se lo passa tra le dita come un mago con le carte, se lo legge e rilegge attentamente fino a quando non capisce il trucco e smonta la magia.
È per questa attitudine allo studio scrupoloso e all’analisi che quando si parla di cultura digitale può permettersi di alzare la mano e il livello per dire la sua.
Cosa ha inciso nelle ultime elezioni Usa
“Dire che Trump ha vinto grazie alla tecnologia mi pare una semplificazione. Insomma, la tecnologia ha avuto la capacità di saldare una serie di pubblici e includerne di nuovi, ma non è stata la ragione del successo di Trump. Come nel 2016, c’è stata grande intelligenza nello sfruttare la cosiddetta manosfera, penso alla micro-targettizzazione del pubblico via social network. Stavolta, però, oltre ai social sono state sfruttate altre piattaforme in modo più efficace. Ma non solo. Non si tiene conto di quella che è stata l’evoluzione del Partito repubblicano da quando è comparso Trump sulla scena politica. Così come Internet è una somma di nicchie, anche la politica viene ormai interpretata come la ricerca del consenso di una somma di nicchie. Ebbene, Trump è riuscito a fare questa cosa, ovvero a unificare bolle di società accomunate dalla condivisione di valori e ideali precisi. Ha sfruttato la proliferazione che avviene all’interno di uno specifico spazio digitale e si è proposto come elemento unificante. La sua retorica è composta da parole chiave condivise da coloro che abitano certe bolle”.
Il ruolo di Elon Musk
Per Zamperini, Elon Musk dovrebbe essere un osservato speciale. “Musk è stato essenziale per tante ragioni. Ha avuto la capacità di attualizzare la proposta e il linguaggio di Trump, in un modo che capiremo meglio solo tra qualche tempo. Ha adeguato il suo messaggio allo spazio digitale in cui si diffondeva, non solo dal punto di vista operativo – mettendogli a disposizione X – ma anche rinfrescando il linguaggio e i contenuti. Per esempio, al tema delle politiche migratorie si è aggiunto quello dell’inflazione per raggiungere un pubblico più ampio e più sensibile a certi argomenti. Il ruolo di X è stato essenziale perché ha piegato l’algoritmo. Trump, come già Obama, ha trattato i social non solo come luogo di ricerca del consenso, ma come cassetta degli attrezzi, ossia come spazio in cui gli utenti che già si riconoscono trovano altro materiale interessante”.
I social come strumenti di profilazione
Perché, spiega Zamperini, i social sono grandi macchine di profilazione che, attraverso un modello di business articolato, puntano alla vendita.
“Quando stiamo sui social noi regaliamo i nostri gusti, le nostre scelte di acquisto. Tutto questo viene utilizzato per creare un identikit piuttosto preciso al quale poi proporre qualcosa. Stare nello spazio digitale vuol dire essere vittime di vulnerabilità di cui prima non si era coscienti. Questo non ci rende sicuri, ma ci costringe a essere consapevoli. L’unico modo per conservare i dati al sicuro è escluderli dallo spazio digitale. La regola è semplice: se c’è una cosa alla quale tieni devi metterla in uno spazio fisico scollegato dalla rete”.
Della nostra interazione con i social e dei furti di identità che avvengono in quella dimensione, Zamperini parla nel suo ‘Manuale di disobbedienza digitale’ del 2018.
“Dobbiamo avere consapevolezza dei rapporti di forza e dei poteri che esistono oggi: la tecnologia è forza vitale e potere, è lei a dominare. Io ho definito le grandi piattaforme ‘meta-nazioni digitali’, perché la dimensione aziendale le sta stretta. I regolamenti che ha approvato l’Europa per arginare lo spazio di manovra di questi giganti digitali, come l’Ai Act, sono ragionevoli, ma poco efficaci. È che semplicemente la tecnologia sta già da un’altra parte, oltre. Oggi sono queste meta-nazioni digitali a dominare le nostre vite”.
Nicola Zamperini
Giornalista e imprenditore della comunicazione. Ha scritto per Castelvecchi “Manuale di disobbedienza digitale” e “Lavorare (da casa) stanca”. Ogni giorno sul canale Telegram di Disobbedienze propone una notizia dal mondo digitale e una chiave per leggerla.