Marineland d’Antibes, in Francia, era il più grande parco marino d’Europa. Il numero dei visitatori in calo da anni e le conseguenti difficoltà economiche non hanno lasciato scampo ai proprietari, che hanno annunciato il piano di chiusura definitiva a partire dal 5 gennaio 2025.
Ma è stata la legge del 2021 che vieta gli spettacoli di cetacei – e che entrerà in vigore nel 2026 – a dare il colpo di grazia al parco della Costa Azzurra.
Inaugurato nel 1970 e ispirato ai grandi acquari e delfinari americani, tra gli anni ’80 e ’90 il parco attirava fino a 1,2 milioni di visitatori all’anno.
Negli ultimi anni, i numeri di affluenza nel parco di Marineland erano però crollati fino a 400mila presenze. Troppo poco per mandare avanti la baracca.
La crescente consapevolezza dei consumatori sul tema del benessere animale ha contribuito in maniera determinante al crollo delle visite.
E se oggi il parco ha chiuso le sue porte ai visitatori, i riflettori sul Marineland non si sono ancora spenti.
Che fine faranno Wikie e suo figlio Keijo, le ultime due orche rimaste, e gli altri 4mila animali, di 150 specie diverse, ospitati nella struttura? È la domanda che si pongono da settimane le associazioni animaliste.
I gestori del parco, nella nota con cui hanno chiarito le motivazioni dietro la “dolorosa decisione” di chiudere, hanno assicurato che la priorità adesso sarà “ricollocare gli animali nelle migliori strutture disponibili”.
Non è semplice però, né scontato, individuare la destinazione ideale per un cetaceo che ha passato la sua vita confinato in una piscina.
“L’animale che nasce o trascorre gran parte della sua vita in cattività adotta dei comportamenti in funzione degli stimoli che riceve dall’uomo, un condizionamento molto forte dal quale è complesso liberarsi”, ci spiega Francesco Filiciotto, ricercatore dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche a Messina.
“In un ambiente antropizzato, gli animali perdono gli istinti che consentono loro di riprodursi e procacciarsi il cibo. Reintrodurli in un ambiente naturale comporta tanti rischi e criticità”.
Ha destato grandi perplessità l’ipotesi di trasferire le orche in Giappone, un Paese in cui le normative sul benessere animale sono più flessibili di quelle europee.
“Una possibilità da scongiurare – avverte Filiciotto – perché il Giappone usa questi animali per fini commerciali: da lì rischiano di essere smistati in parchi e acquari in Russia, Cina e Vietnam”.
Il trasferimento delle orche in un santuario per mammiferi marini è la soluzione a cui le associazioni ambientaliste, capeggiate da One Voice, guardano con maggiore favore.
“I santuari sono aree specialmente protette di interesse – chiarisce il ricercatore – dispongono cioè di tutta una serie di misure aggiuntive per la tutela dei cetacei. Dal punto di vista del ripristino di una condizione naturale, è l’opzione che dà maggiori garanzie. Ma non è detto che un animale, dopo tanti anni in cattività, riesca ad autoalimentarsi e a ripristinare le attività sociali”.
Negli ultimi tempi, in virtù della crescente sensibilità sul tema, le strutture si sono impegnate per migliorare il benessere degli animali.
“Nonostante ciò, molti parchi acquatici stanno chiudendo. Anche in Italia ne sono rimasti ben pochi. E in quelli ancora aperti, spesso, si possono trovare dei pinnipedi, come foche e trichechi, ma sempre meno i cetacei, che sono quelli per cui è più complesso garantire il benessere animale”.
Non esiste, insomma, una soluzione ideale, esente da rischi e problematiche.
Ma il processo di presa di coscienza collettiva è ormai avviato: non è giusto far vivere animali in cattività per il divertimento dell’uomo. E, per fortuna, sarà molto difficile tornare indietro.