Se dalla Brexit non si torna indietro, almeno non nel breve periodo, si può lavorare per rendere più saldi i rapporti con quell’ex compagna che è l’Unione Europea.
Il pensiero di Keir Starmer non è certo una novità, sono infatti diversi mesi che il primo ministro britannico cerca di imboccare la strada che porta verso un riavvicinamento consistente con il Vecchio Continente.
La riapertura alla mobilità giovanile per i ragazzi dell’Ue
E se per il momento questi obiettivi hanno navigato più sulla scia delle intenzioni che nel mondo dei risultati concreti, la sua partecipazione al Consiglio Europeo di inizio febbraio sembra aver finalmente acceso una luce verde in quella direzione.
Oggi, infatti, secondo quanto riporta il Times, il primo ministro britannico starebbe cedendo su uno dei più importanti contrappesi richiesti da Bruxelles per rendere meno pesanti le restrizioni al commercio inglese causati dalla Brexit: la mobilità giovanile.
L’offerta di Londra, che consentirebbe ai nostri under 30 di andare a studiare o lavorare oltre manica, ricalcherebbe il modello già messo in atto per Australia e altri Paesi e prevederebbe una quota fissa di arrivi, circa 70 mila, e un limite di tempo di soggiorno di due anni, con la possibilità di estensione ad un terzo anno.
I giovani europei che decideranno di partire dovranno, inoltre, pagare la sanità pubblica interna, con un costo di circa duemila euro, ma non potrebbero usufruire delle prestazioni del suo welfare.
Le perplessità di Bruxelles e il ritorno di Farage
Al momento però, nonostante vi sia una palese apertura rispetto al passato, la proposta di Londra non sembrerebbe soddisfare del tutto le richieste della controparte.
Bruxelles, infatti, vorrebbe che le tasse universitarie dei propri studenti fossero equiparate a quelle degli omologhi inglesi (invece del triplo dell’esborso come previsto dagli accordi post Brexit per tutti gli stranieri) e che, soprattutto, non vi fosse imposto un limite alle partenze dei propri giovani.
Ultimo punto, questo, vera nota dolente per Downing street che sta affrontando, in patria, il ritorno del problema dell’immigrazione come una delle preoccupazioni principali dei suoi cittadini, timore cavalcato per di più con vigore da Nigel Farage e dal suo Reform Uk, partito di destra populista che per diversi sondaggi sarebbe dato per favorito alle prossime elezioni del primo maggio.
Il governo laburista cammina dunque su una lastra di ghiaccio scivolosa, sulla quale deve cercare di evitare di rompere quel precario bilanciamento di interessi a cui si sta lavorando con l’Unione Europea, un bilanciamento che va ben oltre l’aspetto commerciale da cui si è partiti.
La ripresa del dialogo con l’Unione europea
Il vero tema che ha accelerato i dialoghi tra le parti, facendo di fatto sedere il Regno Unito al tavolo dei 27 per la prima volta dallo scisma di cinque anni fa è, infatti, il possibile disimpegno militare annunciato dagli Stati Uniti di Donald Trump.
La necessità che il timone della Difesa e della Sicurezza passino alla Francia e Regno Unito, le uniche due potenze nucleari in seno all’Unione, è stato il reale volano che ha portato ad una possibile svolta nelle trattative.
Ma questo spiraglio, seppur abbia fatto entrare la luce tra le stanze di Bruxelles, sarà difficile che possa convertirsi entro le prossime elezioni inglesi in un patto ufficiale.