Per Trump è tempo di cambiare rotta e i partner asiatici di Washington lo hanno capito.
Con i negoziati di Riyad Donald Trump ha rimarcato la volontà di chiudere il dossier europeo della guerra in Ucraina per concentrarsi sul contenimento dell’influenza politica e economica cinese nella regione indo-pacifica e al contempo Vietnam, Taiwan e India si sono allineati ad altri partner di Washington nel continente che stanno avvicinando le loro politiche commerciali e di sicurezza agli interessi della Casa Bianca.
Il Vietnam tra linee ferroviarie con la Cina e tecnologie americane
Quella di Hanoi è la situazione più complessa.
In Vietnam, tutt’ora membro della Belt and Road Initiative, il Parlamento si è espresso a favore della costruzione di una nuova linea ferroviaria del valore di 8 miliardi di dollari che si estende per 390 chilometri da Hai Phong, la più grande città portuale del nord del Paese, fino a Lao Cai, città montuosa che si trova sul confine con lo Yunnan, provincia dell’estremo sud cinese.
Una tratta fondamentale che tocca i principali poli manifatturieri vietnamiti (tra cui Samsung, Foxconn e Pentagron) totalmente dipendenti dall’importazione di componenti da Pechino.
Contemporaneamente, secondo quanto riportato dal Sole 24 ore, il Parlamento si appresta anche a votare un documento di 12 pagine per “rimuovere ostacoli alle attività nei settori scientifico, tecnologico e dell’innovazione”.
Un provvedimento che permetterebbe alle società straniere di operare nel mercato della connettività attraverso satelliti ad alta velocità.
In una parola Starlink, la rete satellitare della SpaceX di Elon Musk.
Aprire al business di colui che oggi è alla guida del Doge ed è uno degli uomini di fiducia di Donald Trump, può essere l’unico modo per sottrarsi ai dazi che Washington intende imporre ai paesi con cui gli Usa hanno un deficit commerciale.
Una lista di cui il Vientam fa parte, dal momento che con 123,5 miliardi di merci esportate in più rispetto a quelle importate, rappresenta il quarto surplus commerciale a livello globale con gli Stati Uniti.
Taiwan e il “buy american” per la Difesa
Secondo il ministero della difesa taiwanese, le spire del Dragone si stanno stringendo sempre di più attorno all’isola.
I rilevamenti degli ultimi giorni parlano di 41 jet e 9 navi da guerra intorno alle sue coste.
Una situazione che, stando al Sole 24 ore, porterebbe governo di Taipei a considerare maggiori investimenti sulla Difesa, fornendosi direttamente dall’industria bellica statunitense.
Si parla di missili da crociera, lanciarazzi Himars e un investimento tra i 7 e i 10 miliardi di dollari.
Una scelta obbligata, perché le recriminazioni di Trump che accusa Taiwan di aver “rubato” l’industria dei microprocessori statunitense fanno paura.
Nonostante questo, risulta improbabile che in un momento come questo Washington abbandoni il principale argine allo strapotere di Pechino nel Mar Cinese Meridionale.
India: dagli accordi su energia e difesa al disgelo con Tesla
Alla fine della scorsa settimana, Donald Trump ha incontrato il Primo ministro indiano Narendra Modi, nel corso di un vertice bilaterale alla Casa Bianca.
In questa occasione, India e Stati Uniti hanno sottoscritto due importanti accordi commerciali su difesa e energia.
Washington diventa il principale fornitore di petrolio greggio e gas di Nuova Delhi che si impegna, inoltre, a fornirsi dagli arsenali americani a partire dagli F-35.
Si è parlato anche dell’implementazione dell’Imec, il corridoio commerciale che collega Europa, Medio Oriente, Asia e Stati Uniti, una strada già tracciata da Biden nel 2023.
Modi ha anche dovuto far buon viso a cattivo gioco nei confronti di un convitato di pietra come Elon Musk aprendo le porte a Tesla.
Il capo del Doge è pur sempre favorevole ai visti H-1B rivolti ai lavoratori stranieri qualificati, molti dei quali sono proprio indiani.
Musk ha affittato due showroom a Mumbai e Delhi, oltre a mettere una dozzina di annunci su Linkedin per la ricerca di figure commerciali in loco.
Negli scorsi giorni, inoltre, Nuova Delhi ha ridotto le tariffe sulle importazioni di autovetture sopra i 40mila dollari dal 110 al 70%.
L’India non ha potuto sottrarsi a questi accordi dato che i dazi americani pendono anche sulla sua testa.
Il paese, subito dopo l’America latina, è il secondo per migranti illegali negli Usa, situazione che ha spinto Modi ad accettare il rimpatrio di migliaia di indiani arrivati clandestinamente su suolo statunitense.
Proprio il disavanzo commerciale, i flussi migratori illegali e le minacce di dazi sono un’arma di ricatto con cui Washington può chiamare gli alleati Usa nell’area a fare la loro parte per limitare l’influenza cinese.