Scelte per motivi estetici (58,5%) o dopo un tumore (41,5%), da febbraio 2023 a dicembre 2024 in Italia sono state impiantate circa 60.000 protesi al seno (59.488), destinate a un piccolo esercito di 35.000 italiane. Aggiungendo i primi mesi di quest’anno si arriva a circa 39.000 pazienti. Ma di che tipo sono, quanto durano e cosa può compromettere la sicurezza di questi dispositivi medici?
Sono molto interessanti i numeri sulle protesi al seno in Italia che arrivano dal Registro nazionale protesi mammarie, curato dal ministero della Salute, presentato oggi a Roma. Scopriamo così che la misura più utilizzata corrisponde a una terza abbondante, ma il 30% delle donne ha preferito misure più piccole.
Inoltre le protesi al seno ‘durano’ da 11 ai 14 anni in chirurgia estetica. Diverso il caso della ricostruzione dopo un tumore: le revisioni avvengono in media dopo 9 anni e, se l’intervento si associa alla radioterapia, a incidere sulla durata sono le superfici delle protesi a contatto con il tessuto irradiato”, come spiega Roy De Vita, primario di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva Istituto Nazionale dei Tumori di Roma Regina Elena. Ma questo è un tema che affronteremo meglio in seguito.
La chirurgia conservativa
“Grazie alla scienza sempre più donne sopravvivono ad una diagnosi di tumore al seno. A loro dobbiamo garantire non solo la sopravvivenza, ma una buona qualità di vita. La ricostruzione immediata è un trend in crescita in tutto il mondo e si fa per la qualità di vita della paziente”, sottolinea Marzia Salgarello, chirurgo plastico presso la Fondazione Policlinico Gemelli Irccs e presidente di BABC Beautiful After Breast Cancer Italia Onlus.
Se una donna su 8 riceve, nel corso della sua vita, una diagnosi di tumore al seno, circa un quarto delle pazienti fa la mastectomia, mentre le altre vengono sottoposte a chirurgia conservativa. “Oggi c’è una maggiore consapevolezza delle pazienti che vogliono essere informate sulla scelta. Le mastectomie sono sempre più conservative (ovvero risparmiano la pelle del seno) e le tecniche sempre più avanzate. In questo quadro il Registro è un ulteriore passo avanti che mette la donna al centro”, dice Salgarello.
Quanto durano le protesi al seno?
In barba alle leggende metropolitane, le protesi non ‘scoppiano’ mai. Ma possono rompersi a distanza di anni: le revisioni per rottura avvengono in media dopo 14,8 anni e dopo 13 anni nei casi di ricostruzione dopo il tumore, con medie che calano ad 11,9 anni se abbinata alla radioterapia e 10,6 anni se alla chemioterapia.
“Nei casi di ricostruzione del seno dopo la mastectomia – avverte Roy De Vita – la durata è inferiore in rapporto soprattutto alla radio e alla chemioterapia”. Come dicevamo, “la superficie delle protesi – lisce, macro o microtesturizzate o ricoperte in poliuretano – incide sulle differenti reazioni dei tessuti mammari alla chemio ed alla radioterapia e quindi alla formazione di eventuali contratture capsulari dei tessuti intorno al dispositivo. Purtroppo il registro mostra solo dati aggregati e nulla ci dice sul tipo di protesi incluse nell’indagine. E’ indubbio però che ci siano reazioni dei tessuti diverse in base al tipo di dispositivo usato e che ci sono superfici che creano minore reattività di altre. Gli studi clinici, infatti, fin dagli anni ’80 confermano che il poliuretano è correlato ad un numero più basso di casi di contrattura capsulare anche nei casi di radioterapia, rispetto alle altre superfici”.
La protesi al seno ideale
Attenzione, non c’è una tipologia di protesi che va bene per tutte, né una sola tecnica operatoria. “Il modus operandi del chirurgo plastico sia nelle cliniche che nelle breast unit ospedaliere nella scelta del tipo di intervento e di dispositivo da impiantare in base anche al tipo di tumore da trattare è fondamentale e può fare la differenza”, puntualizza De Vita.
La personalizzazione è fondamentale, come evidenzia anche Salgarello, ma si tratta di un percorso che non si limita alla sala operatoria. “Noi chirurghi plastici possiamo puntare ad una buona qualità della vita della paziente grazie alla ricostruzione migliore per lei. Questo vuol dire utilizzo della tecnica migliore e scelta della protesi più adatta alla morfologia della paziente. Il nostro compito, però, non finisce in sala operatoria. Anzi, probabilmente quella è la parte più facile. Dobbiamo informare la paziente, rispondere alle sue domande, rassicurarla nei giorni in cui la paura prende il sopravvento. In questo senso, il Registro Nazionale degli impianti Protesici Mammari sarà una preziosa freccia al nostro arco”, sottolinea la specialista.
Il Registro nazionale
Non solo: per il ministro Orazio Schillaci “la governance dei dispositivi medici sta attraversando una fase cruciale. La necessità di disporre di dati che siano Real World Data, completi e affidabili, è essenziale per una programmazione sanitaria innovativa ed evidence based”. Grazie al Registro, di cuiSchillaci si è detto “particolarmente orgoglioso”, si assicura “il monitoraggio clinico ed epidemiologico della popolazione impiantata, la prevenzione primaria e secondaria; l’allerta rapida, per lo scambio di informazioni su eventi passibili di provvedimenti urgenti a livello nazionale e internazionale”.
Insomma, il Registro è “uno strumento innovativo che – riuleva Francesco Mennini, Capo Dipartimento della programmazione, dei dispositivi medici, del farmaco e delle politiche in favore del Servizio sanitario nazionale – consente di monitorare in maniera sempre più accurata l’efficacia e la qualità dell’assistenza sanitaria, di individuare disomogeneità sul territorio e intervenire con azioni mirate”.
Un allarme infondato
I dati confermano inoltre l’infondatezza dell’allarme nato gli scorsi anni sul linfoma Bia-ALCL, che sarebbe stato correlato con le protesi al seno. Un altro registro dedicato alla patologia, sempre a cura del ministero della Salute, evidenzia come su 100.000 donne con impianti mammari in Italia sono stati complessivamente 2,68 i casi di Bia-Alcl, pari a 1 paziente ogni 25mila. In dieci anni, dal 2014 al 2024 si contano 114 casi.
“I dati presentati oggi – conclude Mariangela Dal Pra, managing director Italia e head of sales Central Europe Polytech Health & Aesthetics – servono all’industria come stimolo per fornire prodotti sempre più performanti, insieme alla migliore formazione dei chirurghi per un corretto uso delle differenti opzioni. Non esiste una sola protesi, non tutte le pazienti sono uguali e non esiste un solo atto chirurgico”.