L’Europa sta per rimanere sola. A occuparsi della sicurezza dell’Ue, come dell’Ucraina, sarà solo Bruxelles. Il monito di Mario Draghi arriva durante il suo discorso al Parlamento europeo per la settimana parlamentare 2025.
Il focus del discorso di Draghi è ovviamente la competitività del continente, ma non è l’unico: la Difesa è cruciale per il futuro d’Europa, e Draghi lo ricorda all’indomani del vertice di Parigi dove è arrivato un sì all’aumento per la spesa militare.
Dalla pubblicazione del rapporto Draghi ad oggi “i cambiamenti avvenuti” a livello Ue “sono sostanzialmente in linea con le tendenze che erano state delineate” nel rapporto stesso. Ma “il senso di urgenza di intraprendere il cambiamento radicale auspicato dal rapporto è diventato ancora più forte”.
Le sfide europee si possono vincere in un solo modo: “Uniti”, dice Draghi.
Rispondere come un solo Stato
La risposta dell’Ue alle nuove sfide economiche deve “essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte”, dice Draghi ricordando che l’economia europea ristagna mentre il resto del mondo cresce. Una risposta che deve essere veloce e che deve concentrarsi sull’abbattimento delle “barriere interne” e su “standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sull’equity”, dice l’ex premier.
La stima “conservativa” sugli investimenti è di 700-800 mld l’anno, ricorda.
“Dobbiamo agire sempre più come se fossimo un unico Stato”, dice Draghi, davanti alle complessità che coinvolgono ricerca, industria, commercio e finanza. Serve coordinamento: tra “governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo”.
Cosa succederà con i dazi
Se da una parte gli Usa stringono con i dazi, dall’altra la Cina riverserà la produzione in eccesso in Europa, ricorda Draghi. All’epoca della redazione del suo rapporto sulla competitività europea l’ascesa della Cina era già un tema, al quale ora si aggiunge l’impatto dei dazi da parte del “nostro principale mercato di esportazione. L’aumento dei dazi statunitensi sulla Cina reindirizzerà l’eccesso di capacità produttiva cinese in Europa, colpendo ulteriormente le imprese europee”. Secondo Draghi “le grandi aziende dell’Ue sono più preoccupate di questo effetto che della perdita di accesso al mercato statunitense”.
“Potremmo anche trovarci di fronte a politiche ideate per attirare le aziende europee a produrre di più negli Stati Uniti, basate su tasse più basse, energia più economica e deregolamentazione”, ricorda l’ex capo della Bce
Innovazione e AI
Ogni giorno di ritardo che l’Europa accumula nell’intelligenza artificiale, “la frontiera” dell’innovazione si allontana maggiormente ma, d’altro canto, cadono i costi che bisogna affrontare per recuperare il terreno perduto.
Innanzitutto, afferma Draghi, “il ritmo dei progressi nel campo dell’intelligenza artificiale ha subito una rapida accelerazione. Abbiamo visto modelli di frontiera raggiungere un’accuratezza quasi del 90% nei test di riferimento per il ragionamento scientifico, superando i punteggi degli esperti umani. Abbiamo anche visto modelli diventare molto più efficienti, con costi di formazione diminuiti di un fattore dieci e costi di inferenza (vale a dire i costi inerenti allo sviluppo della capacità dei modelli di Ia di elaborare e rispondere a informazioni mai ricevute prima, ndr) di un fattore superiore a venti”.
Per ora, continua, “la maggior parte dei progressi avviene ancora al di fuori dell’Europa. Otto degli attuali dieci grandi modelli linguistici sono stati sviluppati negli Stati Uniti, mentre gli altri due provengono dalla Cina. Ogni giorno che ritardiamo, la frontiera tecnologica si allontana da noi, ma il calo dei costi ci offre anche un’opportunità per recuperare più velocemente”, conclude.
La fuga dei cervelli
Nell’Ue “se agiamo con decisione e rendiamo l’Europa un luogo attraente per l’innovazione, avremo l’opportunità di invertire la fuga di cervelli che ha trascinato i nostri migliori scienziati oltreoceano”, dice Draghi. “Il rapporto – continua – identifica diversi modi per espandere la nostra capacità di ricerca e, se lo facciamo, la nostra tradizione di libertà accademica e l’assenza di orientamento culturale nei finanziamenti governativi possono diventare il nostro vantaggio comparativo”.