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Il piano di Trump per la crescita economica: “Drill baby, drill!”

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Velasco25 Articolo

Il presidente Donald Trump vuole sfruttare le riserve di petrolio americane per stimolare l’economia durante il suo mandato, ma gli azionisti del settore si preoccupano dei loro dividendi, non della sua popolarità. Inoltre, le implicazioni economiche della ricerca e della produzione di petrolio non sono semplici e non possono essere influenzate da politiche di breve termine. Donald Trump sta pianificando di rilanciare l’economia americana nel profondo. Letteralmente.

Nel suo discorso d’insediamento il presidente Trump ha detto ai presenti “Abbiamo qualcosa che nessun’altra nazione manifatturiera avrà mai, il più grande ammontare di petrolio e gas di qualsiasi altro paese sulla terra e lo utilizzeremo”.

Ha proseguito “Saremo di nuovo una nazione ricca e questo è ciò che l’oro liquido sotto i nostri piedi ci aiuterà a fare”.

Tuttavia, secondo gli studi e gli esperti del settore, non è tecnicamente corretto affermare che gli Stati Uniti abbiano la più grande riserva di petrolio e gas del pianeta, né il Comandate in capo può garantire che queste verranno trivellate.

Dopotutto, a meno che il presidente Trump non stia pianificando una radicale riorganizzazione dell’industria energetica nel suo paese, la decisione “drill baby, drill” non spetta a lui.

In realtà ciò dipende dagli azionisti dei soggetti privati che guidano il settore. E a meno che non sia per loro economicamente conveniente, non sono obbligati ad aumentare la produzione.

La domanda è, cosa farà il presidente Trump per convincerli ad alzare la posta?

Quanto petrolio producono gli Stati Uniti?

Quando il presidente Trump parla dell’ “ammontare” di risorse naturali presenti in America, potrebbe riferirsi alla produzione.

In questo senso, sarebbe corretto affermare che gli Stati Uniti producono più petrolio e gas rispetto a qualsiasi altro paese sulla terra e lo hanno fatto per la maggior parte dell’ultimo decennio.

Ma guardando in avanti, il settore si sta preparando a una fase di stallo nella crescita della produzione, dal momento che le riserve si stanno esaurendo e le opportunità di nuovi siti di scavo diminuiscono.

Così, dopo un’era di forti investimenti in nuove tecnologie come il fracking, il focus adesso sulla restituzione di valore agli azionisti e sulla conservazione delle risorse nel lungo termine.

I ritorni di valore e la conservazione delle risorse non sono priorità alle quali gli azionisti rinuncerebbero solo per spirito patriottico, ha detto Matthew Bernstein, senior analyst di ricerca upstream presso l’azienda di energy intelligence Rystad Energy.

“Nel settore il sentiment è… abbastanza ‘agnostico’ dal punto di vista politico”, ha dichiarato Bernstein a Fortune. “Il sentiment in termini di ciò che ci si aspetta quando i bilanci saranno pubblicati e sulla base di quanto ci è stato garantito alla fine dello scorso anno, è: ‘Rimaniamo fedeli alla nostra strategia aziendale.'”

Questa strategia consiste nel focalizzarsi sui ritorni per gli azionisti, su una crescita moderata e su una disciplina del capitale, ha aggiunto.

Ha aggiunto Bernstein “Essenzialmente: ‘Rimuoviamo la retorica favorevole di Washington, apprezziamo certamente il fatto che alla Casa Bianca ci sia un’amministrazione apertamente favorevole al gas e al petrolio’, ma questo non influirà sui loro piani rispetto a quanto sarebbe stato un paio di mesi fa”.

C’è una remota possibilità che un’amministrazione favorevole al settore possa invogliare gli azionisti a anticipare le spese in conto capitale previste per i prossimi due decenni e a riprogrammarle per i prossimi cinque.

“L’opportunità potrebbe essere quella di prendere un po’dei volumi futuri previsti per gli anni 2030 e 2040 e … anticiparli un po’”, ha dichiarato Robert Clarke, vicepresidente di WoodMac, fornitore di ricerche e analisi specialistiche sull’energia.

“Basterebbe che gli Stati Uniti tornassero a produrre un milione di barili al giorno, anno dopo anno? Questo era il numero massimo a cui la gente faceva riferimento … non è detto che ciò accada”.

“Ma solo perché non si avranno questi enormi volumi di crescita non significa che non si possano avere dei volumi di crescita”, ha aggiunto Clarke. “La questione più in generale è: ci sono iniziative politiche che possano essere intraprese? Possono essere messi in atto incentivi che consentano di prendere parte di quegli investimenti che probabilmente sono rivolti ai supply models per gli anni 2030 e portarli nella seconda metà degli anni 2020?”

Quanto petrolio hanno gli Stati Uniti?

Nel lungo periodo, le altre nazioni hanno un maggior potenziale di scoprire nuove riserve rispetto allo Zio Sam.

Secondo Rystad, al 1°gennaio 2024, gli Stati Uniti avevano riserve di petrolio accertate per un totale di 32 miliardi di barili. In termini di riserve petrolifere accertate e probabili, la stima di Rystad per gli Stati Uniti è di 44 miliardi di barili recuperabili.

Considerato tutto il potenziale di produzione petrolifera degli Stati Uniti, tra siti comprovati e probabili, nonché risorse contingenti provenienti da recenti scoperte, Rystad stima una cifra pari a 156 miliardi di barili.

Di contro, le riserve di petrolio accertate dell’Arabia Saudita ammontano a 106 miliardi, quelle accertate e probabili sono 177 miliardi e il potenziale produttivo è di 247 miliardi di barili.

Per la Russia tali cifre sono, rispettivamente, di 58 miliardi93 miliardi 143 miliardi di barili.

Quanto vale?

Nel 2023, l’anno più recente per cui sono disponibili i dati dell’U.S. Energy Information Administration, il prezzo di acquisto di un barile di petrolio americano era di poco superiore a 76 dollari.

Si tratta di un aumento enorme, anche rispetto a 20 anni fa: nel 2003, il prezzo si attestava in media a 27,56 dollari.

Il valore delle riserve petrolifere americane è, quindi, aumentato esponenzialmente nel XXI° secolo, il che solleva la domanda sul perché i produttori, siano essi grandi aziende come Exxon Mobil o realtà più piccole, non dovrebbero approfittarne finché le cose vanno bene.

Il problema è duplice. In primo luogo, se l’offerta inonda il mercato, questo farà scendere i prezzi e quindi avrà un impatto sui margini  e in secondo luogo, le implicazioni economiche della produzione petrolifera non sono banali.

Ecco perché aumentare la produzione è una proposta difficile da vendere agli azionisti, come spiega Clarke di WoodMac: “Uno dei fattori con cui le aziende petrolifere stanno lottando è il fatto che ci sia un po’di fermento che richiede alle persone di produrre di più, ma poi c’è anche una sorta di retorica che circola sull’obiettivo di abbassare i prezzi del petrolio”.

All’interno del settore, il sentiment è chiaro: le aziende sono in debito con i loro azionisti, non con la Casa Bianca.

Cosa deve fare Trump?

Per il presidente Trump, la Casa Bianca potrebbe utilizzare un paio di trucchi per rendere le trivellazioni più attrattive economicamente per gli azionisti.

Altri incentivi minori potrebbero includere modifiche al tax codes per compensare il reinvestimento o eliminare la burocrazia che comporta apportare piccole modifiche ai pozzi esistenti.

L’incentivo che attirerebbe maggiormente l’attenzione sarebbe l’apertura di più terreni federali alla perforazione.

“Ci sono alcune parti della superficie federale che sono davvero competitive”, ha spiegato Clarke. “Quindi, se lì l’infrastruttura fosse un po’migliore, una società di ricerca e produzione metterebbe un impianto di perforazione lì invece che altrove? Questo può leggermente spostare la curva dei costi sul ‘dove perforano‘ rispetto al ‘quanto perforano‘”.

Anche in questo caso, sostiene Bernstein, le aziende “cannibalizzerebbero” altre aree del loro portafoglio. Ha spiegato: “In termini di implicazioni totali, si tratterebbe davvero di un effetto di compensazione, in cui si otterrebbe un po’più di attività se gli operatori lo volessero, ma a scapito di altre aree”.

E’ realistico il piano di Trump?

Anche la migliore offerta del presidente Trump difficilmente riuscirebbe a cambiare le cose per un settore che vuole sopravvivere nel lungo periodo.

Bernstein afferma che il piano della Casa Bianca sembra irrealistico, aggiungendo: “Quando si considera questa come una decisione di investimento, non si sta pensando solo al prossimo anno, al prossimo trimestre, ma sul lungo periodo“.

Continua: “La domanda diventa: come si può posizionare la propria attività in modo da poterlo fare, non solo nel prossimo trimestre, ma mantenendo la stessa proposta di valore tra 10, 20, 30 anni?”

Anche Clarke è realista, ma ipotizza che se queste proposte dovessero concretizzarsi, potrebbero contribuire nel complesso a cambiare il profilo produttivo dell’America.

A sua volta, ciò presenterebbe un risultato in cui la crescita non si appiattirebbe alla fine del decennio ma questo sviluppo verrebbe, invece, proiettato nel futuro.

“Raggiungeremo questa fase di stallo”, ha detto Clarke. “Quindi, come risponderanno gli altri paesi? Qual è il settore energetico statunitense e come viene visto? Se ci sarà abbastanza attività ulteriore dagli anni 2030 in poi, lo stallo sarà anticipato?”

Prosegue: “I mercati sono sempre alla ricerca di punti di riflessione, sono sempre alla ricerca di una crescita che si trasforma in declino”.

Conclude: “Questo potrebbe essere il cambiamento più grande che ne deriverà, se la narrativa dello stallo americano svanirà o sarà spinta ulteriormente in futuro, perdendo un po’della sua credibilità”.

L’articolo è stato originariamente pubblicato su Fortune.com

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