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Trump e la pazza idea di una “Riviera del Medioriente”

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Velasco25 Articolo

Il progetto trumpiano di una “Riviera del Medioriente” ha il merito di essere l’unica idea oggi sul tavolo per il futuro di Gaza e dei gazawi. Altre non ce ne sono. Può apparire spiazzante ed eccentrica (in realtà ha molto senso economico per la valorizzazione di quel pezzo di litorale sul Mediterraneo) ma certamente l’idea trumpiana è “out of the box”, fuori dagli schemi, come l’ha definita il premier israeliano Benjamin Netanyahu durante la conferenza stampa alla Casa Bianca. Trump è abituato a ragionare scardinando il mainstream con l’audacia di chi sa spingersi oltre. Sarà anche fattibile? In linea teorica sì, perché i fondi interessati a investire nel rilancio immobiliare di quella striscia ci sarebbero, di sicuro ha senso politico perché ad oggi nessun altro dei protagonisti sulla scena – l’Autorità nazionale palestinese, i Paesi arabi, l’Onu, l’Europa – si è posto il problema di dove collocare i palestinesi nei dieci o quindici anni che saranno necessari per la ricostruzione. Nessuno vuole vedere l’elefante nella stanza: chi manderebbe i propri familiari a vivere in un “sito di demolizioni” infestato di malattie dove non ci sono né acqua né gas, un cimitero di edifici rasi al suolo o pericolanti, puntellato di macerie e ordigni inesplosi? È per questo che il Segretario di Stato Marco Rubio, un filo spiazzato dalle parole inattese di Trump, ai giornalisti ha spiegato che si tratta di una proposta “molto generosa”, di uno spostamento “temporaneo” per consentire ai palestinesi di vivere un giorno in un posto ospitale. Non sembrano invece disposti a collaborare l’Egitto di Al Sisi (che teme le infiltrazioni, via Hamas, del suo avversario interno, la Fratellanza musulmana) e la Giordania del re Abdullah (che, pur avendo una moglie e quasi due terzi della popolazione di origine palestinese, non intende aprire le frontiere ai profughi di Gaza).

Vedremo come andrà a finire e se l’idea della “Riviera del Medioriente” resterà una sortita estemporanea della serie “chiedere molto per ottenere qualcosa”. La leadership di Trump è segnatamente “transactional”: il presidente, da esperto dealmaker, è abituato ad alzare la posta per massimizzare il risultato. Di sicuro il senso economico e le potenzialità del progetto paiono non secondarie. Per Steve Witkoff, investitore immobiliare ebreo americano che Trump ha nominato inviato in Medioriente, serviranno cinque anni solo per ripulire la superficie (abbattere ciò che resta degli edifici, rimuovere le macerie, smantellare le 30mila bombe inesplose). Poi, serviranno i rilievi geologico-tecnici nel sottosuolo dove sono stati scavati i tunnel dai terroristi di Hamas. Da qui l’idea di “prendere possesso” (“take over” e “longterm ownership”, le espressioni usate da Trump) della Striscia al fine di attuare il “master plan” di un grande rilancio immobiliare all’insegna della hospitality. I soldi ci sono: lo stesso Witkoff ha venduto il Park Lane Hotel di Manhattan al fondo sovrano del Qatar. In questi anni Jared Kushner, marito di Ivanka Trump, si è dedicato al business fondando una società di private equity, Affinity Partners, che ha raccolto 4,5 miliardi di dollari perlopiù da fondi sovrani di nazioni ricche di petrolio come Arabia saudita, Qatar ed Emirati arabi uniti. Di recente poi Kushner ha raddoppiato la propria partecipazione nella Phoenix Financial Holding, una compagnia israeliana di finanza e assicurazioni, nota anche per i finanziamenti immobiliari negli insediamenti in Cisgiordania.

Ora, dal punto di vista strategico, la “Riviera del Mediterraneo” va considerata come il punto di inizio, non la fine, di un percorso volto a far cessare per sempre il conflitto cambiando il volto del Medioriente. Nel solco degli Accordi di Abramo che, con la regia di Kushner durante il primo mandato di Trump, hanno normalizzato i rapporti tra Israele e alcuni dei principali partner arabi regionali. Intanto l’annuncio della “Riviera” mediorientale ha prodotto immediatamente alcuni effetti: ai terroristi di Hamas è arrivato chiaro il messaggio che non sarà loro consentito tornare a Gaza; all’Iran che non potrà fare di Gaza una piattaforma terroristica (com’è accaduto in questi anni armando e finanziando Hamas mentre i gazawi vivevano nella miseria); ai Paesi arabi è passata l’idea che stavolta serve un “master plan”, un progetto per voltare pagina offrendo ai palestinesi un’alternativa reale. In questo senso, vanno lette le parole del ministro della Difesa israeliano Katz che ieri ha annunciato di aver dato ordine all’esercito di preparare un piano per lo “sfollamento volontario” degli abitanti della Striscia. L’obiettivo è riaprire le porte di Gaza “per terra, per aria e per mare” al fine di consentire a chiunque “lo desideri di poter andare verso qualsiasi luogo del mondo che accetti di accoglierlo”. Il ministro ha anche aggiunto che i palestinesi dovrebbero andare in “Spagna, Irlanda, Norvegia e Canada” che hanno diffuso “false accuse “ su Israele e hanno riconosciuto lo stato di Palestina. Uno stato che ad oggi non esiste e mai potrà esistere con Hamas ancora presente, seppure indebolita.

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