I dazi minacciati dal presidente americano Donald Trump avranno effetti pesanti sull’economia di Canada e Messico. Al momento li ha congelati per almeno trenta giorni, viste le grandi resistenze anche a Washington sugli effetti di una nuova guerra commerciale. Ma ipotizziamo che alla fine Trump dovesse dar seguito alla sua strategia: è inevitabile che ci saranno conseguenze anche per i consumatori domestici visto che gli Stati Uniti importano grandi quantità di frutta e verdura dal Messico e di energia dal Canada. Certamente, scommettono gli analisti, ci sarà un’impennata dei prezzi degli alimentari nei supermercati. Con un’inattesa fiammata dell’inflazione, che rischia di erodere ulteriormente il potere d’acquisto del ceto medio già gravato, in questi anni, dagli alti costi delle bollette.
Un sondaggio su un campione di duemila americani, pubblicato dall’agenzia Bloomberg, ha appena rivelato che un terzo delle persone interrogate dichiara che sta accumulando scorte in casa per anticipare un’inflazione da dazi o perché «impauriti e incerti riguardo al futuro». La lista dei prodotti ricorda quelli che andavano a ruba all’inizio della pandemia o quelli che uno comprerebbe in previsione di una rivolta violenta nella sua città: carta igienica, cibi a lunga conservazione, forniture sanitarie e medicine, armi e munizioni, sistemi di filtraggio dell’acqua. Questi connazionali temono che il ritorno di Trump al potere si ritorca contro di loro. Probabilmente fra gli accumulatori di scorte ci sono anche alcuni degli stessi elettori del Presidente, ma proseguiamo con i numeri che non mentono mai.
Il 44% dei 195,9 miliardi di importazioni alimentari negli Usa arriva da Messico e Canada. Il Messico è la più grande fonte estera di ortofrutta per gli Stati Uniti: secondo il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti, nel 2023 il Messico ha fornito il 63% delle importazioni di verdura degli Stati Uniti e quasi la metà delle importazioni di frutta e noci (47%) degli Stati Uniti. Oltre l’80% degli avocado statunitensi proviene dal Messico, il che significa che costi di importazione più elevati faranno aumentare i prezzi di prodotti come il guacamole. Il Paese esporta più di 1,5 miliardi di dollari di carne di manzo e maiale negli Stati Uniti.
Anche sulle auto il contraccolpo sarà pesante, vista la gran quantità di veicoli di molte case (anche cinesi) assemblati in Messico e Canada. Il costo delle vetture è un altro indicatore primario dell’inflazione. Il settore automobilistico e i produttori di ricambi auto impiegano circa 11 milioni di posti di lavoro nei tre Paesi. Non solo, gli Stati Uniti importano materiali da costruzione dal Canada, il che significa che le tariffe potrebbero far aumentare i costi degli alloggi. Oltre il 70% delle importazioni di legname di conifere e gesso, proviene da Canada e Messico, ha sottolineato il presidente della National Association of Home Builders Carl Harris. «Le tariffe sul legname e altri materiali da costruzione aumentano i costi di costruzione e scoraggiano nuovi sviluppi», ha denunciato sui media.
Pur avendo raggiunto l’indipendenza energetica gli Stati Uniti dipendono anche dalle importazioni di petrolio canadese che rappresenta oltre il 60% delle importazioni americane. Il greggio che arriva da Messico e Canada è il più adatto a essere lavorato nelle moderne raffinerie a inquinamento contenuto, molto più leggero rispetto a quello americano. Per il Canada, fornitore di 4 milioni di barili al giorno, che hanno generato l’anno scorso un flusso di cassa di 100 miliardi di dollari sbilanciano la bilancia commerciale, Trump ha disposto un regime speciale: un dazio ridotto al 10%. Ma questo avrà la durata solo di due settimane, dopo, se Ottawa non sigillerà le frontiere, passeranno al 25%. Avverrà?