Dopo il cancro, ora è la volta delle malattie autoimmuni. A illustrare le nuove frontiere della ricerca sulle Car-T, le ‘cellule della speranza’ destinate al trattamento personalizzato e ‘one shot’ di alcuni tipi di tumore è Cindy Perettie, vicepresidente esecutivo e responsabile globale di Kite, società biotech del gruppo Gilead, dove è responsabile della supervisione del business della terapia cellulare. Manager con l’animo della scienziata, Perettie è entrata in Kite nel 2023, dopo oltre 20 anni di esperienza in organizzazioni biofarmaceutiche globali e un inizio presso la Johns Hopkins University come ricercatrice associata senior.
Appassionata di scienze e biologia fin da bambina, la vicepresidente ha una laurea in biologia con specializzazione in chimica presso la State University of New York a Potsdam e un MBA presso lo Saint Mary’s College of California. E racconta di aver iniziato a lavorare con l’obiettivo di esplorare le potenzialità di “terapie che potessero curare persone in tutto il mondo”. Proprio come le Car-T, un “farmaco vivente” realizzato a partire dal sangue del singolo paziente, che oggi offre una possibilità di cura in caso di leucemia, linfoma e mieloma.
Ma come funziona? All’interno di un processo estremamente delicato, i linfociti del paziente vengono ingegnerizzati con il recettore Car (Chimeric Antigen Receptor), capace di riconoscere le cellule tumorali, e poi infusi di nuovo nel sangue del paziente, con la missione di cercare e distruggere il loro obiettivo. Una strategia che, spiega Perettie a Fortune Italia, viene esplorata ora contro altre patologie.
Quali sono i numeri dello stabilimento Kite a pochi chilometri da Amsterdam, dove vengono ingegnerizzate le Car-T per la terapia personalizzata dei tumori e quali sono i vostri obiettivi per il 2025?
Oggi la nostra struttura può produrre fino a 4.000 Car-T all’anno, per altrettanti pazienti. I nostri obiettivi sono quelli di migliorare la nostra produzione in modo da poter ridurre i tempi di consegna e far arrivare la terapia alle persone che ne hanno bisogno ancor più velocemente. Ma vogliamo migliorare anche il nostro tasso di successo nella produzione, già molto elevato, affinché ogni paziente possa ricevere la propria terapia: siamo al 96% ma vogliamo arrivare al 100%. Inoltre stiamo studiando come iniziare a produrre la nostra prossima generazione di terapie per il linfoma e il mieloma multiplo.
Non solo tumori: le cellule Car-T sono promettenti anche contro altre patologie. Quali sono gli sviluppi più interessanti secondo lei?
Abbiamo un nuovo farmaco sperimentale per le malattie autoimmuni. Inizieremo a indagare su indicazioni reumatologiche, e poi passeremo a quelle neurologiche. Entro la metà dell’anno prossimo inizieremo il programma di ricerca. E siamo davvero entusiasti. Si tratta di una nuova terapia con due target antigenici, molto rilevanti per le malattie autoimmuni. Quanto ai tempi, inizieremo i primi studi sui pazienti quest’anno, probabilmente nella seconda metà del 2025, per avere i primi risultati a fine 2025 o nel 2026.
Qualche mese fa sono emerse alcune preoccupazioni sulla sicurezza di questa terapia, cosa può dirci?
Vorrei premettere che la sicurezza è molto importante per noi. Abbiamo il più grande database di pazienti trattati: finora oltre 25.000 in tutto il mondo. E continuiamo a esaminare ogni aspetto per assicurarci di non causare alcun evento avverso. I medici hanno imparato a gestire le Car-T e il 50% dei pazienti trattati è vivo dopo 5 anni. Questo è molto importante. Il tasso di eventi avversi è davvero molto basso. Ma continueremo a monitorare con attenzione i pazienti.
Le terapie personalizzate stanno facendo la differenza nelle prospettive di cura, ma la sfida dei costi resta…
È vero, e anche per questo continuiamo a lavorare sulla produzione per cercare di ottenere un rapporto costo-beneficio ancora migliore. Negli ultimi cinque anni abbiamo fatto grandi progressi. Ma voglio anche ricordare che questo è un trattamento una tantum. In pratica, il paziente riceve la terapia una sola volta e di solito entro i primi 28 giorni si riesce a capire se avrà una risposta completa. Come ho detto, oltre il 50% dei pazienti ha una risposta completa e guarisce. Senza il trattamento con Car-T, queste persone verrebbero sottoposte ad anni di terapie, con un’aspettativa di vita limitata. Quindi pensiamo che il beneficio clinico e quello per il sistema sanitario siano davvero grandi.
Posso chiederle come valuta la ricerca italiana?
Stiamo continuando a condurre sperimentazioni cliniche in Italia. Pensiamo che la qualità della ricerca qui sia molto alta. Nei nostri attuali programmi clinici, abbiamo completato sei trial clinici qui in Italia (tra cui tre di fase III e altrettanti di fase II), arruolando 30 pazienti in 12 centri. E stiamo per iniziare un’altra sperimentazione sul mieloma multiplo. L’Italia è un Paese in cui ci piace fare ricerca. Finora inoltre 1.300 pazienti italiani sono stati trattati con le nostre Car-T.
Lei è una manager, ma anche una donna di scienza. Che consiglio darebbe a un giovane all’inizio della sua carriera? Gli suggerirebbe di scegliere la salute?
Assolutamente sì. Penso anche che sia importante avere più donne impegnate nella scienza e nell’assistenza sanitaria. Una delle cose che ho notato nella mia carriera è che uomini e donne contribuiscono in modo diverso ai progressi della medicina e della sanità. Penso che le donne abbiano una prospettiva differente, forse a volte più empatica. E in settori come l’oncologia, questo è davvero fondamentale. Per questo cerco di incoraggiare le giovani donne a intraprendere la professione medica o una carriera nella scienza della salute.
Nel vostro stabilimento vicino Amsterdam avete dipendenti da molti Paesi: che cosa cercate nelle persone che si candidano per lavorare da voi?
La prima cosa è un background di rilievo, ma è ancora più importante che siano culturalmente adatte. In effetti in Kite siamo molto concentrati sul paziente: lo mettiamo davvero al primo posto quando pensiamo a tutto ciò che facciamo, che si tratti di ricerca, commercializzazione e accesso alle terapie. Quindi, tendiamo a privilegiare le persone che sono focalizzate sul paziente. Ma lo stesso accade per chi ha una mente agile e pensa fuori dagli schemi. Le nuove idee sono preziose. Nel caso del sito di Amsterdam, stiamo cercando di migliorare continuamente la nostra produzione, quindi avere persone motivate e creative, che pensano a come superare i limiti attuali, è davvero fondamentale.
Posso farle una domanda personale? Da bambina, che lavoro le sarebbe piaciuto fare?
Da quando avevo 15 anni mi sono concentrata su biologia e chimica: sapevo di voler diventare una scienziata. Così ho deciso di studiare Scienze all’Università. Mi emozionava il fatto che ci fosse così tanto che si potesse fare. L’idea di poter sviluppare terapie che potessero curare persone in tutto il mondo era davvero potente, e questo in un’epoca in cui non c’erano così tante possibilità per i malati di tumore.
L’intelligenza artificiale è al centro di molte speranze: che contributo può dare alla ricerca?
Stiamo già utilizzando l’intelligenza artificiale nella ricerca, fondamentalmente in due modi. Possiamo analizzare i nostri set di dati cercando davvero di capire chi sono i pazienti che rispondono alle terapie e quelli che non lo fanno. Ma anche, applicando gli algoritmi a quei pazienti, come superare il problema con strategie mirate. Quindi c’è molto che puoi fare con l’AI. L’altro aspetto di cui siamo entusiasti è proprio legato all’analisi dei dati, non solo quelli di Kite o di Gilead. Penso comunque che continueremo a progredire e a imparare, trovando anche nuove applicazioni interessanti. Tornando alla nostra ricerca, comunque, devo dire che lavoro in questo campo da 25 anni ed è molto raro sviluppare una terapia che guarisca davvero i pazienti. Uno dei motivi per cui sono venuta in Kite è stato proprio il risultato ottenuto nel linfoma. Quindi non vedo l’ora di vedere cosa possono fare le Car-T nei pazienti con malattie autoimmuni.