Esiste davvero la crisi di mezza età? Attenzione. Non stiamo parlando di passione, ma di lavoro. E forse, anche se il trend dell’esperienza porta ad identificare una sorta di “appiattimento” nelle prospettive appena superata la soglia degli “anta”, con ripresa della soddisfazione lavorativa una decina d’anni dopo, non si può parlare di un fenomeno diffuso e democratico.
Insomma, non si può pensare che l’insoddisfazione sul fronte professionale che si può presentare una volta conclusa l’ascesa progressiva dei primi anni sia generalizzata. O meglio. Una ricerca apparsa su ‘Socio-Economic Review’ mostra che non si deve parlare di un qualcosa di ineffabile e comunque destinato a realizzarsi.
Mentre invece la crisi di mezza età sul lavoro non affliggerebbe tutti. E quella classica traiettoria a U che spesso viene dipinta, con i picchi di massima soddisfazione nella prima giovinezza e verso il termine della carriera, si dovrebbe applicare solamente a certe professioni e mansioni. O meglio. Lo studio, coordinato da Ying Zhou, direttore del Future of Work Research Centre presso l’Università del Surrey, indica come per manager e liberi professionisti il picco di insoddisfazione professionale e le ansie potrebbero concentrarsi proprio tra i 40 e i 50 anni. Ma anche che questa (vera o presunta) crisi di mezza età non si verificherebbe allo stesso modo (o addirittura sarebbe quasi del tutto assente) per chi invece svolge un lavoro dipendente o attività meno impegnative per la mente.
La ricerca, quindi, va ad impattare sulla percezione dell’ineffabilità della crisi degli “anta”, quando magari può apparire più difficile raggiungere obiettivi sfidanti e proseguire su percorsi di crescita. Non si tratta di un passaggio ineludibile, come indicano i risultati dell’indagine. Ma certo occorre che i modelli organizzativi e le funzioni di HR di un’azienda tengano ben presente il passaggio, soprattutto per chi può essere professionalmente più a rischio.
Per la cronaca, i ricercatori hanno preso in esame la relazione tra età e soddisfazione lavorativa attingendo a quattro banche dati del Regno Unito: UK Skills and Employment Survey, Workplace Employee Relations Survey, British Household Panel Survey ed UK Household Longitudinal Study. Alla fine dell’analisi sono state monitorate informazioni su più di 100.000 lavoratori in diversi settori, provenienti da diverse aree geografiche. Si è così disegnata una sorta di “timeline” del rapporto tra soddisfazione al lavoro e fasi della carriera, con particolare riferimento all’età di mezzo.
E si è arrivati a definire chi è più a rischio della crisi di mezza età, oltre alla sensazione di insoddisfazione professionale. Lo conferma in una nota per la stampa. “I nostri risultati indicano che per manager e professionisti, la soddisfazione lavorativa in genere raggiunge il punto più basso durante i 40 anni, ma spesso rimbalza più avanti nella vita. Al contrario, i lavoratori nelle classi occupazionali intermedie e inferiori non mostrano la stessa traiettoria a U”.
Cosa trarre dall’analisi? Sostanzialmente una sorta di applicazione del tradizionale “mal comune, mezzo gaudio”. Chi vive qualche difficoltà nella fascia 40-50 anni si può considerare in buona compagnia. Ma attenzione. Il trend dice che si tratta di un periodo temporaneo, destinato a finire. Con una nuova “riaccensione” del motore della crescita professionale più avanti.
E allora? Allora chi si occupa del personale deve pensare a strumenti utili per affrontare al meglio questa transizione, creando strumenti e programmi di sostegno per i dipendenti che entrano nella decade più temibile. Il tutto, per mitigare i potenziali rischi dell’insoddisfazione, specie in chi è a maggior rischio. Perché rispondere ai bisogni di coinvolgimento e crescita professionale per chi è nell’età di mezzo può aiutare il singolo. E anche l’azienda. In un “win-win” da non sottovalutare.
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