Il grande momento è arrivato. Il Big Bang trumpiano, stavolta, si preannuncia il più clamoroso di sempre. Basta osservare il presidente eletto Donald Trump che accenna l’ormai celebre balletto sul palco tra quel che resta dei Village People sulle note della sua canzone simbolo, “Y.M.C.A.”: quale altro leader al mondo sarebbe capace di un tale spettacolo? La verità è che Trump è un maestro della comunicazione, è un uomo di business e di marketing, abilissimo nel creare un legame diretto con il suo popolo, il MAGA.
A poche ore dalla cerimonia ufficiale (che avrà inizio alle ore 18 in Italia), sappiamo che la Rotonda ospiterà al massimo seicento ospiti: è la capienza dei posti a sedere del cuore del Capitol dove Trump presterà solenne giuramento, con una mano sulla Bibbia (anzi su due libri della Bibbia: quello che la madre gli donò nel 1955 e quello usato da Lincoln nel 1861), in qualità di 47imo presidente Usa, dopo il trasferimento della cerimonia all’interno per il gelo artico. Ci saranno i familiari di Trump e del vicepresidente J.D. Vance, i giudici della Corte suprema, gli ex presidenti (Bush, Clinton, Obama con le rispettive mogli a parte Michelle), i capi delle commissioni di Camera e Senato oltre alla leadership del Congresso. Presenzieranno diversi dignitari stranieri e ospiti d’onore, tra cui la premier italiana Giorgia Meloni, unico capo di governo europeo presente, il presidente argentino Javier Milei, il vicepresidente cinese Han Zheng. In forse molti grandi donatori mentre sono confermatissimi il super consigliere Elon Musk e i “convertiti” sulla via del trumpismo, Mark Zuckerberg e Jeff Bezos.
Dopo una delle amministrazioni più guerrafondaie di sempre, Trump si appresta a cambiare passo. Aveva già annunciato, in campagna elettorale, che la tregua a Gaza si sarebbe realizzata prima del suo insediamento (mission accomplished, verrebbe da dire: al di là di quale sarà la durata effettiva della tregua appena avviata, i primi tre ostaggi israeliani sono tornati a casa). Se Papa Francesco indirizza al Presidente eletto una lettera invocando l’impegno a costruire una società “dove non ci sia spazio per l’odio, la discriminazione o l’esclusione” (Trump ha promesso l’eliminazione dei programmi DEI, diversity equity inclusion, “per tornare alla meritocrazia”), la comunità di Davos, riunita in occasione del World Economic Forum, trema all’idea di una guerra commerciale con l’Europa e dei possibili contraccolpi di un’ondata protezionista a stelle e strisce. Ma Trump, a dispetto delle previsioni, sembra invece concentrato su come fare la pace e non la guerra. Secondo la Cnn, in queste ore pre-insediamento avrebbe ordinato ai suoi collaboratori di fissare una telefonata con il presidente russo Vladimir Putin con l’obiettivo di discutere la possibilità di un incontro nei prossimi mesi per porre fine alla guerra in Ucraina. Magari non alle condizioni sognate da Zelensky, sed pax fiat. Alla cerimonia di insediamento, tra poche ore, parteciperà il vicepresidente cinese Han Zheng che domenica ha incontrato a Washington il vicepresidente Vance nonché Elon Musk insieme a una folta rappresentanza della business community statunitense usando parole al miele: “Invitiamo Tesla e altre aziende Usa a cogliere le opportunità e a condividere i benefici dello sviluppo della Cina”. Rendendo nota la telefonata, risalente allo scorso venerdì, tra il presidente cinese Xi e lo stesso Trump, il vice Han ha dichiarato che Pechino è disposta a collaborare con gli Usa “per seguire la guida strategica dell’impegno a livello di leader e portare avanti gli importanti punti comuni” in base alla considerazione che Cina e Usa “sono entrambi grandi Paesi, con i loro rispettivi grandi popoli”.
Essendo questo il resoconto ufficiale diramato dalla diplomazia di Pechino, avete capito che con un dealmaker come Trump la Cina è interessata a negoziare e a trattare. I modi “tough” del presidente Usa inducono alla mediazione e al dialogo piuttosto che allo scontro diretto. E le parole di Trump sulla possibile annessione della Groenlandia e del canale di Panama sembrano aver funzionato: in quelle aree geografiche si registra una crescente influenza cinese. La mano tesa per non “spegnere” TikTok negli Usa è una prova della strategia distensiva di Trump: meglio convincere i cinesi a costituire una joint venture controllata al 50 percento da capitale americano piuttosto che privare gli americani di una piattaforma che ha milioni di utenti e il cui ban comporterebbe per tante piccole imprese e creatori di social media statunitensi una perdita calcolata in 1,3 miliardi di dollari in un solo mese. Secondo Fox news, già oggi nelle prime ore successive al giuramento, Trump potrebbe firmare oltre duecento ordini esecutivi. Non sappiamo se sarà così, e va ricordato che diversi ordini esecutivi della sua passata amministrazione rimasero ineseguiti, eppure i temi, annunciati da Trump nel corso del suo comizio ieri nella Capital One Arena di Washington, sono destinati a dare una scossa al sistema: la deportazione degli immigranti irregolari e degli stranieri che hanno commesso crimini gravi sul territorio nazionale, la dichiarazione di emergenza ai confini con il Messico, la classificazione dei cartelli della droga come organizzazioni terroristiche, la revoca di “tutti gli ordini esecutivi di Biden”, incluse le tanto odiate direttive sulla diversità e l’inclusione, la guerra alla “cultura woke”, il divieto per gli uomini di competere nelle gare sportive femminili (basta casi Imane Khelif), l’eliminazione dei limiti alle trivellazioni offshore sul territorio federale, l’abolizione del segreto su molti documenti federali inclusi quelli sugli omicidi di John F. Kennedy e Martin Luther King, la costruzione di uno scudo missilistico Iron Dome. Come ha twittato qualche giorno fa, su X, Elon Musk a proposito del fallito lancio del suo Starship: il successo non è certo ma lo spettacolo è garantito.