L’obesità non è solo una questione di Bmi (indice di massa corporea). Ne sono convinti i componenti della Commissione sull’Obesità Clinica, un gruppo internazionale di specialisti che – dalle pagine di The Lancet Diabetes & Endocrinology – propongono un’importante revisione dei criteri di diagnosi, che superi il concetto di indice di massa corporea, per definire quando l’obesità rappresenta una malattia.
Chi sono
La Commissione – che ha coinvolto 56 esperti mondiali e persone con obesità ed è forte dell’endorsement di oltre 75 associazioni mediche a livello mondiale – auspica dunque un nuovo approccio, con più sfumature per la diagnosi di obesità, basato su altre misure in aggiunta al Bmi, che tenga conto anche di segni e sintomi oggettivi di cattiva salute a livello individuale.
Gli obiettivi
La proposta, particolarmente interessante nell’epoca dei nuovi farmaci anti-obesità, punta a superare i limiti della definizione e della diagnosi tradizionale di obesità che ostacolano la pratica clinica e le politiche sanitarie, facendo sì che le persone non ricevano i trattamenti di cui hanno bisogno. Con la stima di oltre un miliardo di persone con obesità nel mondo, la proposta fornisce ai servizi sanitari l’opportunità di adottare una definizione di obesità universale e clinicamente rilevante e una metodologia di diagnostica più accurata.
Con o senza sintomi
“Riconoscere l’obesità come una malattia, in particolare l’obesità clinica, ossia quella accompagnata da segni e sintomi specifici, consentirà di ridurre lo stigma associato a questa condizione tra il pubblico, i medici e i decisori politici. Questo è un passo fondamentale per definire i livelli essenziali di assistenza (LEA) e garantire un trattamento adeguato di questa patologia”, sottolinea Geltrude Mingrone, associata di Medicina interna all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
“La questione del se l’obesità sia una malattia è fallace, perché presuppone uno scenario non plausibile del tipo ‘tutto o nulla’”, dice il presidente della Commissione Francesco Rubino del King’s College di Londra. “Le evidenze scientifiche tuttavia raccontano una realtà molto più sfumata. Alcuni individui con obesità possono mantenere una normale funzione d’organo e un buono stato di salute globale, anche a lungo termine; mentre altri mostrano segni e sintomi di malattia grave qui e adesso. Considerando l’obesità solo come un fattore di rischio e mai come una patologia, può portare a negare l’accesso a terapie tempestive a soggetti in cattiva salute per motivi riconducibili alla sola obesità. D’altra parte, una definizione ampia di obesità come patologia può sfociare in un eccesso di diagnosi e nell’uso inappropriato di farmaci e procedure chirurgiche, con danno potenziale agli individui e costi impressionanti per la società. La nostra riformulazione riconosce la realtà sfumata dell’obesità e permette un trattamento personalizzato”.
La sfida
È in corso un dibattito tra medici e rappresentanti delle istituzioni politiche sull’attuale approccio diagnostico all’obesità. Parte del problema, secondo gli specialisti, sta nel fatto che al momento l’obesità viene attualmente definita sulla base del Bmi: se è superiore a 30 Kg/m2, viene considerato un indicatore di obesità per i soggetti di discendenza europea. Vengono utilizzati anche diversi cutoff, specifici per nazione, per rendere conto della variabilità etnica del rischio correlato all’obesità.
“Basarsi solo sul Bmi per diagnosticare l’obesità può rappresentare un problema perché alcune persone tendono a immagazzinare grasso in eccesso a livello del punto vita e all’interno o intorno i loro organi, come il fegato, il cuore o i muscoli; questi si associa ad un maggior rischio per la salute rispetto a quando il grasso in eccesso è localizzato solo sottocute, a livello delle braccia, delle gambe o in altre aree corporee. Ma le persone con un eccesso di tessuto adiposo non sempre presentano un Bmi che li faccia riconoscere come individui con obesità, e questo significa che i loro problemi di salute possono sfuggire”, evidenzia Robert Eckel dell’Anschutz Medical Campus dell’Università del Colorado (Usa), componente della Commissione.
Due nuove categorie
La Commissione fornisce un nuovo modello per la diagnosi di malattia nell’obesità, basato su misure oggettive di patologia a livello individuale. L’obesità clinica viene definita come una condizione di obesità associata a segni o sintomi oggetti di ridotta funzione d’organo o con una capacità significativamente ridotta di svolgere le normali attività della vita quotidiana (farsi il bagno, vestirsi, mangiare e la continenza), riconducibile direttamente al grasso corporeo in eccesso. Le persone con obesità clinica andrebbero considerate come soggetti affetti da una patologia cronica e ricevere un’appropriata gestione e trattamenti.
L’obesità pre-clinica prevede una normale funzione degli organi: queste persone non hanno patologie concomitanti, sebbene abbiamo un rischio variabile ma in generale aumentato di sviluppare obesità clinica e varie altre malattie non trasmissibili in futuro, compresi diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari, alcune forme di tumori e di patologie mentali, tra le altre. Come tali, dovrebbero essere supportate per ridurre il rischio di patologie potenziali.
La questione delle coperture assicurative
La riformulazione della definizione di obesità operata dalla Commissione punta ad assicurare che tutte le persone che vivono con obesità ricevano adeguati consigli di salute e trattamenti basati sulle evidenze, quando necessari, con diverse strategie per l’obesità clinica e l’obesità pre-clinica. Le assicurazioni sanitarie in tutto il mondo spesso richiedono la documentazione della presenza di altre condizioni associate all’obesità per accordare la copertura delle terapie per l’obesità. In quanto patologia cronica di per sé, l’obesità clinica non dovrebbe aver bisogno di altre patologie per giustificare la copertura.
Le persone che vivono con obesità pre-clinica sono a rischio di malattie future ma non presentano al momento complicanze dovute all’eccesso di grasso corporeo. Di conseguenza, l’approccio alla loro presa in carico dovrebbe mirare ad una riduzione del rischio. Questo cambio di passo consentirà “un approccio evidence-based e personalizzato alla prevenzione, alla gestione e al trattamento degli adulti e dei bambini con obesità, consentendo loro di ricevere una presa in carico più appropriata, commisurata alle loro necessità”, conclude Louise Baur dell’University of Sydney (Australia).