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Blue Origin vs SpaceX, la sfida Bezos-Musk è questione di dimensioni. New Glenn, lancio rinviato

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Velasco25 Articolo

Un tempo a sfidarsi nella corsa allo Spazio erano solo le nazioni più potenti del pianeta. Oggi la rivalità gira anche intorno agli ultra-miliardari, e non potrebbe essere più cinematografica di così: con pochi giorni di anticipo rispetto a quando la SpaceX di Elon Musk lancerà la sua Starship dalla base di Boca Chica in Texas (lunedì), la Blue Origin di Jeff Bezos avrebbe dovuto mandare in orbita per la prima volta, da Cape Canaveral, il suo razzo New Glenn: 98 metri di altezza per 2,5 mld di dollari di investimento.

Inizialmente previsto per il 10 gennaio, #BlueOrigin ha comunicato lo spostamento del lancio a domenica in attesa di condizioni più favorevoli nell’Atlantico, dove dovrà atterrare il booster di New Glenn. Ma proprio durante la diretta streaming del conto alla rovescia di Cape Canaveral si è verificato un problema tecnico che ha portato oltre lo scadere della finestra stabilita per la partenza e spinto il team di BlueOrigin a rinviare il lancio. Una nuova data per ora non è stata specificata.

 

 

La sfida spaziale tra razzi

I due miliardari hanno gli stessi obiettivi di medio-lungo termine (tra cui la Luna e Marte), gli stessi business (il trasporto spaziale ma anche le costellazioni di satelliti), la stessa filosofia salvifica che vede in Marte un rifugio per l’umanità.

Per il trasporto spaziale, il decollo della creatura di Bezos riaccende la rivalità dei due perché con New Glenn (annunciato nel 2016, con il lancio inizialmente previsto nel 2020) Bezos arriva per la prima volta in orbita con un razzo. In ritardo ma senza drammi, coerentemente con la mascotte di Blue Origin, una tartaruga, e la filosofia seguita dall’azienda, che è sempre stata quella della pazienza.

Ma il lancio mette anche alla prova il sistema di recupero del primo stadio del razzo, quello che permette il decollo. Sopra il ‘booster’ c’è invece lo stadio che contiene il carico della missione: non due satelliti Nasa destinati a Marte inizialmente previsti (verranno spediti in orbita forse in primavera) ma tecnologia sperimentale di telemetria e comunicazioni che serve a mettere a punto l’astronave Blue Ring, altra impresa di Bezos, che prevede di usarla per trasportare carico (i satelliti stessi, ad esempio) da un punto dello Spazio all’altro.

Occhi puntati su Jacklyn

Negli stessi minuti in cui il secondo stadio raggiungerà l’orbita, gli occhi del mondo saranno puntati sulla Terra.

Il sistema di reimpiego è stato fondamentale per i Falcon di Musk che hanno tagliato i costi e di fatto portato alla New Space Economy di questi anni. Bezos ha dedicato al nome di sua madre la piattaforma oceanica Jacklyn, dove verrà recuperato il primo stadio.

A un reimpiego di successo è arrivato per primo Musk, ma lo stesso concetto è stato spostato anche dalla ‘New Shepard’ di Bezos, il veicolo suborbitale dedicato al trasporto di turisti spaziali.

Questione di dimensioni

Ci sono delle differenze tra le scelte di Space X e Blue Origin: l’alimentazione di New Glenn (che invece prende il nome dell’astronauta Nasa John Glenn) è a metano, a differenza del kerosene dei Falcon. Inoltre è più potente di un Falcon 9 (trasporta il doppio del peso), ma meno di un Falcon Heavy. Il vantaggio competitivo è il prezzo offerto ai clienti interessati ad arrivare in orbita: 60-70 mln di dollari a lancio, come il meno potente Falcon 9.

Un’altra differenza è il ‘naso’ dei razzi, l’ogiva, cioè la struttura aerodinamica che protegge il carico utile del razzo durante il passaggio attraverso l’atmosfera. Quella di New Glenn è 2 metri più larga di quella del Falcon 9.

I 98 metri di New Glenn vengono comunque già superati dalla Starship di Elon Musk: il razzo più potente di sempre, che con questo lancio arriva al test numero 7, raggiunge i 121 metri di altezza ed è in grado di portare addirittura 300 tonnellate in orbita, il che aumenterà di molto il valore di ogni lancio diminuendo il prezzo per ogni kg trasportato, secondo Space X.

La vera missione di Starship: abbassare i costi

L’ambizione a breve termine del progetto è dimostrare la fattibilità del passaggio di carburante da una Starship all’altra, e il primo test dovrebbe essere eseguito quest’anno. E sarà fondamentale: secondo alcune analisi una volta raggiunto questo risultato sarà possibile portare 100 persone sulla Luna (e poi su Marte) con una singola missione.

Solo il Falcon ha già fatto scendere i costi di un singolo lancio da oltre 25mila a meno di 3.000 dollari per kg, e l’auspicio di Musk è che grazie al riutilizzo dei razzi il costo scenda verso i 2-3 mln di dollari per le future versioni di Starship.

Il costo di ogni Kg trasportato scenderebbe così nell’ordine delle centinaia di dollari grazie alla capacità di riutilizzo mostrata nello storico quinto test dell’anno scorso che ha visto atterrare il primo stadio da 300 tonnellate nelle braccia della piattaforma a terra.

Nello stesso lancio ci si è anche avvicinati di più a un futuro reimpiego del secondo stadio, il che sarà fondamentale per far scendere di così tanto i costi, secondo un’analisi dell’Australian strategic policy institute.

Per il sito specializzato Payload, in termini di costo per chilogrammo di carico utile, la Starship di Musk può ridurre il costo attuale di quasi dieci volte a circa 150 dollari per chilogrammo, per arrivare poi grazie al riutilizzo massivo a 10-20 dollari al chilogrammo.

Il futuro delle stazioni spaziali

Tra i business che il lancio può spalancare, per Bezos, c’è quello delle stazioni spaziali, che Blue Origin sta già sviluppando. Si chiama Orbital Reef, è sviluppata con Boeing e Sierra Space, e vuole essere l’alternativa alla Stazione spaziale internazionale, destinata alla pensione.

Il business dei satelliti

Ma il fondatore di Amazon vuole anche recuperare terreno sui satelliti: al centro del confronto con Musk c’è la promessa di portare Internet ad alta velocità ovunque nel mondo. Musk è avanti di anni, grazie alla costellazione di satelliti Starlink che, come ha detto il premier Giorgia Meloni parlando di una fase di “istruttoria”, anche l’Italia sta valutando per le sue comunicazioni sicure.

Ad oggi la Starlink di SpaceX conta 5.000 satelliti in orbita. Bezos è fermo a zero (escludendo i satelliti-test già lanciati), ma sta accelerando sul progetto Kuiper, che prevede il lancio di 3.200 satelliti nei prossimi anni, anche attraverso l’Ariane-6 europeo. Il servizio commerciale è previsto per il 2025 e per Bezos può essere una svolta competitiva significativa, considerando che potrebbe unirlo al dominio ‘terrestre’ sui servizi cloud di Amazon Web Services. Le risorse di Bezos sono illimitate, e il mercato spaziale è ricco di domanda e scarso di offerta: ci sono tutti gli ingredienti per un dominio ancora più totale sulle infrastrutture digitali dell’umanità, distribuite tra la Terra e la sua orbita.

Inoltre non c’è solo Kuiper: di recente Blue Origin ha siglato un contratto anche con AST SpaceMobile, azienda texana che vuole spedire in orbita la sua rete cellulare Midland.

Nei prossimi anni il cliente migliore sia per Musk che per Bezos sarà  il Governo americano: a giugno ha selezionato Blue Origin, SpaceX e la joint venture ‘United launch alliance’ di Boeing e Lockheed Martin per contratti del Pentagono da 5,6 mld di dollari distribuiti sui prossimi quattro anni. E l’intreccio tra Musk e Trump – che vuole dichiaratamente essere il presidente che riporterà gli Usa sulla Luna – non potrà che accelerare una corsa che, tra Cape Canaveral e Boca Chica, sembra entrata nel vivo.

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