Ci siamo: il nuovo anno si apre con il primo morto per influenza aviaria negli Stati Uniti, Paese in cui nei mesi scorsi questo virus dei volatili ha colpito duramente negli allevamenti intensivi di bovini, infettando anche alcune persone. Ma che cosa sta succedendo e quanto dobbiamo preoccuparci?
Fortune Italia lo ha chiesto a Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma, che sta seguendo da tempo la situazione e invita a un monitoraggio attento, senza allarmismi. E, soprattutto, dando informazioni corrette su come agire in caso di rinvenimenti di volatili morti in campi, giardini e terreni agricoli. “Mai toccarli senza guanti”, raccomanda l’epidemiologo.
Un paziente con patologie pregresse
Torniamo alla prima vittima dell’influenza aviaria, registrata in Louisiana. Stando ai Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) l’evento “non è inaspettato, a causa del potenziale di infezione di questi virus che possono causare gravi malattie e anche la morte”. Il paziente, over 65 e con patologie pregresse, era ricoverato da qualche tempo in ospedale per una grave forma di influenza aviaria. Al 6 gennaio 2025 sono stati 66 i casi confermati di influenza aviaria H5N1 nell’uomo in tutti gli Stati Uniti.
“È importante sottolineare che il paziente morto in Usa era un soggetto a rischio”, dice Ciccozzi. “Occorre un’analisi genetica per valutare la patogenicità del virus, come hanno fatto i Cdc. Ma per un soggetto over 65 con diverse patologie anche la classica influenza poteva essere pericolosa. Non dimentichiamo che l’influenza umana fa 8-9mila morti l’anno solo in Italia. Insomma, a quanto sembra si trattava di una persona molto fragile. Il contatto con uccelli selvatici e non morti può aver aperto la strada al virus che poi, una volta entrato nell’ospite, ha fatto il danno”.
Passaggio interumano
Un elemento cruciale sta proprio nel timore che il virus dell’influenza aviaria acquisisca la capacità di passare agevolmente da persona a persona. Al momento i Cdc rimarcano che il rischio per la popolazione “rimane basso”. E, in merito alla persona morta in Louisiana, puntualizzano che “non è stata identificata alcuna trasmissione da persona a persona”.
Insomma, “non c’è ancora nessuna prova di questo passaggio – conferma l’esperto del Campus Bio-Medico – Non si può parlare ancora di passaggio interumano”. Per Ciccozzi e i Cdc la morte di un paziente fragile è un evento triste che non cambia le carte in tavola. Il virus dell’influenza aviaria resta un osservato speciale, “da monitorare e studiare con attenzione, ma senza allarmismo. Facendo particolare attenzione alle misure igieniche da osservare nel caso si operi a contatto con gli animali”.