Investimenti a geometria variabile. In Spagna si parte, si accelera sul futuro, su un impianto da quattro miliardi per la produzione di batterie elettriche per le auto, in Italia invece è tutto fermo. Che al centro ci sia Stellantis, che deve le sue origini all’italiana Fiat, è solo l’ennesimo scherzo del destino. L’industria dell’auto è in agonia profonda però in Spagna sembra esserci una progettualità che da noi si è persa. La palude in cui è finita Stellantis, in crisi di modello con i concessionari pieni di auto invendute (e le contestuali dimissioni del Ceo Carlos Tavares) ha costretto il governo italiano a bloccare a settembre i 250 milioni immaginati per la realizzazione di una gigafactory per le auto elettriche a Termoli. Doveva essere la prima in Italia. Per la verità pure l’unica, considerata la triste fine dell’impianto emiliano di Silk-Faw annunciato a più riprese e mai partito e il modo in cui è naufragata anche quella di Italvolt ad Ivrea. Ma l’ennesimo rinvio al 2025 da parte di Automotive Cells Company, la joint venture formata dalla stessa Stellantis, con Mercedes e Total, che intendevano realizzarla nello stabilimento ex Fiat di Termoli, ha indotto il governo a bloccare tutto. Il ritardo nella realizzazione è colpa di vari fattori, come il calo delle immatricolazioni di vetture a zero emissioni, lo scarso sostegno pubblico, costi energetici alti e concorrenza cinese.
Peccato che in Spagna Stellantis ha deciso di affidarsi ai cinesi di Catl per servire il mercato domestico. D’altronde il costo dell’energia nella Penisola iberica è più basso, spinto dalla massiccia adozione delle rinnovabili. Però i multipli differenti tra i due Paesi fanno impressione. Perché Stellantis e i cinesi stanno costruendo una joint-venture per investire fino a 4,1 miliardi in un impianto di batterie al litio ferro fosfato (LFP) su larga scala a Saragozza, in Spagna. L’obiettivo è di iniziare la produzione entro la fine del 2026 presso lo stabilimento di Saragozza. La volontà è raggiungere una capacità di 50 Gigawattora, «a seconda dell’evoluzione del mercato elettrico».
In Italia invece è un bagno di sangue. E racconta il graduale disimpegno del nostro campione nazionale. Numeri come il calo dei dipendenti in Italia lo confermano: passati da poco meno di 53 mila alla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, ai poco meno di 40 mila stimabili a fine anno: via uno su quattro. Nel 2024 saranno circa 3 mila gli esodi incentivati. Altri 1.500 l’anno scorso e 3.000 nel 2022. I lavoratori in uscita hanno potuto contare su somme variabili dai 30 ai 130 mila euro (a seconda di ruolo e anzianità di servizio). Stimando una buonuscita media da 70 mila euro a lavoratore, si può valutare in circa 500 milioni di euro quanto stanziato negli ultimi tre anni per ridurre i dipendenti in Italia. Ampio nello stesso tempo il ricorso alla cassa integrazione. Dal 2014 al 2020 Fca ha ricevuto dallo Stato 183 milioni. Dal 2021 al maggio 2024 la spesa dello Stato per la cassa è salita a 703 milioni. Nel 2025 la cassa scadrà per circa 12 mila dipendenti Stellantis e per altrettanti nell’indotto: senza proroga l’unica prospettiva è la perdita del lavoro.