Il malore che ha colpito il centrocampista della Fiorentina Edoardo Bove, crollato a terra al diciassettesimo minuto del primo tempo della partita contro l’Inter, ha tenuto l’Italia col fiato sospeso. Qualche giorno fa, dopo una lunga serie di controlli, il giorcatore è stato dimesso dall’ospedale Careggi e, in un post sui social, ha promesso: “Ci vediamo presto… In Campo!”. Ma il suo non è il primo caso simile nel calcio. Come intercettare queste insidie che possono costare la vita e la carriera agli atleti professionisti?
La proposta
Per qualcuno una soluzione c’è: i giocatori di calcio di serie A “siano sottoposti all’esame genetico dell’esoma completo, che consente risultati in soli 10 giorni”. A suggerirlo è Claudio Giorlandino, direttore scientifico dell’Istituto di Ricerche Altamedica.
Quello di cui parla lo specialista è un test genetico che “può mappare in poco tempo, con un semplice prelievo del sangue, la predisposizione di un individuo” ad alcune patologie, “garantendo la prevenzione di eventi fatali sul campo”. Attenzione: il test indica un rischio, non la malattia. Insomma, “è un esame che ci dice – precisa Giorlandino rispondendo a una domanda di Fortune Italia – se si è predisposti, ma non è detto che tutto ciò accada. Però c’è una predisposizione a malattie trascurabili e una a patologie potenzialmente letali. Chi è predisposto a queste ultime rischia”, ammonisce lo specialista.
Il caso Bove e le ‘spie’ nel Dna
Come ha spiegato a Fortune Italia Antonio Rebuzzi, professore di Cardiologia dell’Università Cattolica di Roma, esistono patologie cardiache che non si rivelano con i classici controlli cui viene sottoposto un calciatore professionista.
Proprio alla luce del caso di Edoardo Bove, per Giorlandino “è necessario che i club sportivi ricorrano a test genetici di ultima generazione. E’ impensabile schierare un atleta professionista senza conoscere i suoi rischi genetici. I risultati dello studio sull’esoma possono essere consegnati in dieci giorni, se ci si rivolge a laboratori all’avanguardia. Vogliamo che ogni calciatore possa sentirsi sicuro e protetto, sapendo che non presenta predisposizioni a gravi patologie”.
Di che si tratta
L’esoma è “quella parte del Dna che rappresenta il progetto costitutivo del nostro organismo, quella che codifica per le strutture proteiche e per le funzioni biologiche. Attraverso il whole exome sequencing (WES), è possibile individuare varianti genetiche legate a rischi immediati di morte, come la sindrome di Brugada (tipo 1, 2 e 3), il QT lungo o corto, le cardiomiopatie aritmiche e dilatative, o anomalie vascolari e cerebrali quali ictus, aneurismi e malformazioni e numerose altre predisposizioni a severe, quanto inattese, patologie”, afferma Claudio Giorlandino.
Lo specialista ricorda che oggi “un atleta può superare brillantemente tutti i test clinici previsti dalla medicina dello sport, ma nascondere nel proprio Dna una predisposizione genetica ad un gran numero di patologie, talune anche potenzialmente letali. Per i club, che investono enormi capitali su questi professionisti, affidarsi esclusivamente agli esami tradizionali è un rischio. Il futuro non è scritto nei referti clinici: è scritto nell’esoma”.
Ecco perchè, insiste lo specialista, “è fondamentale identificare precocemente la predisposizione a malattie genetiche che possono causare morte improvvisa, come alcune cardiopatie ereditarie o disordini elettrici del cuore. Queste condizioni possono manifestarsi in modo asintomatico fino al momento critico”. Quando a fare la differenza può essere la presenza di un defibrillatore e soprattutto la capacità di utilizzarlo.
Quando il tempo è cruciale
“Non sono ammessi ritardi nei soccorsi. Bisogna intervenire immediatamente, già per il tramite del primo astante che si trovi lì. Avviene tutto in pochi istanti”, ha ammonito di recente il presidente della Sis 118 Mario Balzanelli, che si batte da tempo affinchè “tutti i calciatori siano addestrati e certificati nelle competenze rianimatorie di base”. Un appello rilanciato da Balzanelli anche dopo il malore di Edoardo Bove.
Quanto al test, per Giorlandino “l’integrazione della genetica nella preparazione sportiva rappresenta un passo essenziale per tutelare la vita degli atleti e il futuro dello sport professionistico”. In ogni caso è importante che i risultati di questi esami, che indicano una predisposizione e non comportano una diagnosi di malattia, vengano letti e comunicati da un genetista.