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Urologia: col robot interventi sempre più mininvasivi

urologia
Adyen Articolo
Velasco25

L’era dei robot sta trasformando la medicina: oggi il sistema computerizzato che trasmette istantaneamente il movimento delle mani del chirurgo alle braccia robotiche dotate di bisturi è realtà in molte specialità, e in urologia sono stati sviluppati interventi anche complessi, come l’asportazione della vescica.

A questi temi è dedicata la prima masterclass “On Robot-Assisted Radical Cystectomy And Neobladder”, in corso fino a domani presso l’Auditorium del Rettorato dell’Università Di Chieti, con esperti nazionali e internazionali. Obiettivo, fare il punto sulla chirurgia robot-assistita in urologia.

Il robot chirurgo per il trattamento delle neoplasie urinarie ha ormai in gran parte sostituito la metodica chirurgica a “cielo aperto”, con notevoli vantaggi per il paziente e per le strutture sanitarie. Fra questi, l’abbattimento delle complicanze post intervento e della mortalità a 90 giorni. Grazie alla minore invasività, si riducono i danni ai tessuti circostanti, la sofferenza del paziente e la durata del ricovero.

I vantaggi

“Il paziente beneficia sicuramente di un approccio mininvasivo, più sicuro, perché garantisce movimenti più fini, una visualizzazione ‘magnificata’ del campo operatorio e un tasso di sanguinamenti notevolmente ridotto”, afferma Luigi Schips, ordinario di Urologia e Direttore della Scuola di Specializzazione Urologia dell’Università degli Studi G. d’Annunzio di Chieti e Pescara, nonché neopresidente del Collegio degli Ordinari di Urologia. “L’effetto finale, misurabile anche dal paziente, è un più precoce ritorno alla vita attiva, grazie alle minori complicanze ed ai minori giorni di degenza”.

Basti pensare che per le cistectomie open sono necessari 10 giorni di ricovero contro i 5-7 col robot, un importante risparmio per le strutture sanitarie. Inoltre la tecnica tradizionale necessita di una sacca e mezzo di sangue mentre la maggior parte dei casi sottoposti alla robotica non richiede trasfusioni.

“Un paziente che torna alle proprie attività, con una propria autosufficienza, è un soggetto che richiede meno attenzione dai familiari, che torna produttivo e che in senso più generico svolge un ruolo attivo nelle proprie esperienze quotidiane. Di una chirurgia più efficiente, non solo per il trattamento del carcinoma vescicale, beneficiano direttamente ed indirettamente tutti”, aggiunge Schips.

Qualche cautela

Attenzione: la cistectomia radicale, anche con approccio robot-assistito, deve essere eseguita in centri ad alto volume, dove sia possibile integrare competenze di più figure professionali. “I centri ad alto volume – sottolinea lo specialista – offrono una garanzia di competenza maggiore che è fondamentale quando si affrontano le complicanze di questa chirurgia. Purtroppo nonostante l’utilizzo delle tecniche più avanzate, i tassi di complicanze, quando considerate nel loro complesso, superano ancora il 50%”.

Ormai tutti tutti i pazienti sono eleggibili al trattamento robotico. “Si valuta lo stato clinico del paziente, le sue comorbidità e lo stadio della malattia. In generale le indicazioni per la chirurgia robotica sono le stesse per la chirurgia open, ovvero pazienti con malattia muscolo-invasiva della vescica o refrattaria ai trattamenti conservativi”.

Ricostruzione vescicale

La ricostruzione della vescica viene oggi eseguita – solo in determinati centri – utilizzando una parte dell’intestino del paziente, cosa che consente di eliminare l’uso del sacchetto per le urine. “Dopo che la vescica viene rimossa, è sempre necessario proporre una derivazione urinaria. Solitamente queste ricostruzioni consistono nell’abboccamento degli ureteri, i “tubicini” che portano l’urina dai reni alla vescica, ad un tratto di intestino tenue e poi quest’ultimo alla cute, in quello che viene definito condotto ileale”, spiega Michele Marchioni, professore associato in Urologia dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti e Pescara, dirigente medico presso l’Ospedale Clinicizzato “Ss. Annunziata” di Chieti.

“Tra le ricostruzioni che prevedono l’utilizzo dell’intestino, esistono anche quelle che prevedono una riconfigurazione dello stesso a foggia di vescica. In questo caso l’abboccamento viene fatto con l’uretra natia, in modo da riprodurre un ciclo minzionale il più simile possibile a quello fisiologico, per quanto ci siano diverse controindicazioni all’utilizzo di tale tecnica. L’invito è quindi sempre quello di valutare attentamente con il proprio urologo l’approccio più idoneo ad ogni singolo caso”.

“Il vantaggio principale della neovescica – precisa Marchioni – indipendentemente dalla tecnica utilizzata, è quello di evitare l’utilizzo dei sacchetti esterni per la raccolta dell’urina e il confezionamento di stomie sulla cute. Il beneficio è quindi quello di ridurre il malessere generato, anche a livello psicologico, dalla necessità di avere una stomia. È comunque fondamentale nel post-operatorio il ‘prendersi cura’ di questa nuova vescica e il momento della scelta resta cruciale. Pertanto affidarsi a professionisti seri rimane l’approccio migliore, in questa, come in qualsiasi patologia che richieda intervento medico”.

Verso il trapianto di vescica

Questo trapianto è ostacolato dalla complessa anatomia vascolare pelvica profonda. Una studio riportato su American urological association journal a ottobre 2023, descrive la prima esperienza preclinica di autotrapianto della vescica in modelli vascolarizzati, compreso il recupero di allotrapianto di vescica vascolarizzata, la ricostruzione della parete posteriore e l’autotrapianto.

“La chirurgia robotica ha dei vantaggi relativi alla visualizzazione della vascolarizzazione. Nel contesto del trapianto di vescica, l’espianto viene fatto in maniera robotica perchè consente di risparmiare il più possibile le vascolarizzazioni collaterali e sicuramente di fare una raccolta del blocco vescicale, in modo tale che questo possa avere tutte le unità anatomiche da reimpiantare in maniera efficace nel ricevente”, puntualizza Giovanni Cacciamani, associato di Urologia e Radiologia presso la University of Southern California, uno degli esperti internazionali che partecipano alla masterclass.

“Abbiamo già eseguito le sperimentazioni su animale, cadavere, donatore e ricevente vivente in coma. Adesso ci stiamo spostando sulla donazione nel paziente, con una successiva valutazione clinica. La sperimentazione prevede che in questa fase non vengano utilizzati pazienti con malattie tumorali perché la terapia immunologica associata al trapianto di vescica potrebbe andare a inficiare sulla possibilità che questa neovescica possa essere non solo ricevuta, ma che di fatto possa avere in seguito un impatto negativo sul controllo oncologico. I pazienti con malattia oncologica sono quindi esclusi dal trial, sia dalla donazione che dalla ricezione”, conclude Cacciamani.

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