Il Giappone sta affrontando una pesante crisi demografica. Il tasso di fecondità totale (Tfr) del Paese, che misura il numero medio di figli per donna, è sceso a 1,2 lo scorso anno, un nuovo minimo storico. A Tokyo, la capitale della nazione, va ancora peggio: il dato è sceso sotto quota uno per la prima volta in assoluto nel 2023.
Proprio la città di Tokyo ha pensato a un altro incentivo per i futuri genitori: l’asilo nido gratuito. All’inizio di questa settimana la governatrice di Tokyo Yuriko Koike ha annunciato che la città renderà l’asilo nido gratuito per tutti i bambini in età prescolare a partire da settembre, ampliando una politica che offriva il beneficio solo ai secondogeniti (e oltre).
“Il Giappone sta affrontando la crisi del numero di bambini in calo, che non passerà”, ha detto Koike mentre annunciava il piano. “Non c’è tempo da perdere”. Secondo i media giapponesi, la politica di Tokyo è la prima del suo genere ad essere offerta a livello di prefettura. Koike aveva promesso di ampliare la politica di assistenza gratuita all’infanzia prima delle elezioni governative dello scorso luglio (Koike guida la città dal 2016, avendo vinto tre elezioni).
È la seconda iniziativa politica a favore delle famiglie che arriva da Tokyo in poche settimane. La scorsa settimana, il governo metropolitano ha dichiarato che consentirà ai dipendenti di lavorare solo quattro giorni alla settimana, a partire dal prossimo aprile. E sta introducendo una politica di “congedo parentale per l’assistenza all’infanzia” che consentirà ad alcuni dipendenti di lavorare due ore in meno al giorno. Obiettivo, come ha spiegato in quell’occasione Koike, che i cambiamenti di politica aiuteranno i genitori a essere più in grado di bilanciare la cura all’infanzia e il lavoro.
A livello nazionale, il governo giapponese ha già approvato diverse politiche pro-natalità, tra cui pagamenti forfettari in denaro per ogni neonato e stipendi mensili per le famiglie con bambini fino a due anni.
Tuttavia, fino ad ora questi incentivi non sono riusciti a spostare l’ago della bilancia nella giusta direzione, poiché i tassi di fertilità del Giappone continuano a diminuire.
Non solo il Giappone
Diverse altre economie dell’Asia orientale stanno cercando di invertire il calo di natalità. Anche Corea del Sud, Singapore e Hong Kong offrono dei “bonus per neonati”, ovvero incentivi in denaro per i neo-genitori. Ma gli esperti hanno suggerito che “buttare un po’ di soldi” sul problema non risolverà la crisi demografica dell’Asia, e che i bassi tassi di natalità riflettono invece problemi istituzionali e strutturali più ampi.
Le società dell’Asia orientale hanno alcuni dei tassi di natalità più bassi al mondo. Senza l’immigrazione a colmare il deficit, i tassi di natalità in calo ridurranno la forza lavoro. Questo, a sua volta, significa meno attività economica, un calo delle entrate governative e, infine, meno risorse per la rete di sicurezza sociale necessaria a prendersi cura di una popolazione anziana in crescita.
Le aziende stanno già iniziando ad adattare delle strategie in preparazione di una popolazione potenzialmente in calo. Jay Lim, fondatore della startup sudcoreana Gopizza, ha detto a Fortune all’inizio di quest’anno che la sua decisione di andare all’estero è stata motivata dal basso tasso di natalità della Corea. Seon Hee Kim, Ceo della Maeil Dairies con sede in Corea, ha dichiarato a luglio che stava riorientando l’azienda lattiero-casearia per concentrarsi maggiormente sulle donne anziane anziché sui bambini.
Atsushi Katsuki, Ceo del birrificio giapponese Asahi, attribuisce al calo della popolazione giapponese la sua spinta ad espandere l’azienda in nuovi mercati come l’Europa. Asahi ha acquistato il marchio di birra italiano Peroni nel 2016.
Anche altri Paesi al di fuori dell’Asia stanno lottando con bassi tassi di natalità. Quelli nordici, che da tempo hanno adottato generose politiche a favore dei bambini, hanno segnalato un calo dei tassi di fecondità dopo la pandemia Covid. Ciò ha innervosito alcuni esperti, che temono che un calo dei tassi di natalità possa avere più a che fare con gli stili di vita moderni che con preoccupazioni economiche.
L’articolo originale è su Fortune.com