Tra il 2022 e il 2023 è più che raddoppiata la percentuale di italiani che dichiara di avere criptovalute in portafoglio (dall’ 8% al 18%). Tuttavia, la scelta non è sempre associata ad un’effettiva conoscenza delle caratteristiche e dei rischi connessi con questo tipo di asset digitale. Tra i grandi oppositori il presidente della Consob Paolo Savona.
Ritiene che le criptovalute alterino «la distribuzione del reddito, arricchendo il potere di acquisto dei pochi abili a ‘minarle’ da un computer e impoverendo comparativamente quello di chi fatica a procurarselo producendo ricchezza con il proprio lavoro». Eppure il bitcoin ha appena superato i 100 mila dollari, dunque la domanda impazza se il suo valore decolla.
È la più popolare ma non l’unica. Anche Tether si sta apprezzando tra gli appassionati, ma è appena finita al centro di un’operazione della polizia britannica su un sistema di riciclaggio tra Londra, Mosca e Dubai. Una rete che ha utilizzato corrieri per raccogliere denaro da criminali in cambio di criptovaluta. Riciclato tramite aziende e poi reso disponibile in altri Paesi. Pochi sanno che Tether ha una matrice tutta italiana. In testa Paolo Ardoino, 40enne informatico genovese che ne è l’amministratore delegato.
A progettarla è stato un altro italiano, Giancarlo Devasini, classe 1964 e originario di Torino, primo azionista di Tether con oltre il 50% e accreditato di un patrimonio di 9,2 miliardi di dollari. Nel 2012 iniziò a vendere dvd e cd per un centesimo di bitcoin, somma che all’epoca poteva significare, a seconda del mese, l’equivalente di 5 o 13 centesimi di euro. Durante questi commerci Devasini si rese conto dell’impossibilità di utilizzare una moneta dal valore così imprevedibile e oscillante come mezzo di pagamento. Nel 2014, allora, decise di fondare nel paradiso societario delle Isole Vergini Britanniche Tether, una valuta digitale stabile perché il suo andamento tende a ricalcare quello del dollaro.
A conti fatti è l’intuizione cavalcata dal presidente eletto Usa, Donald Trump. Pronto a creare una sua stablecoin, una criptovaluta ancorata al valore del dollaro. Per non farsi scavalcare da Russia e Cina che mirano a de-egemonizzare il biglietto verde. Gli Stati Uniti si apprestano a diventare il primo cripto-Stato ma le incognite sono tante.
Partendo dal modo in cui serve per riciclare denaro. La polizia britannica ha appena scoperto l’esistenza di una rete parallela fatta di società fantasma utili a far girare soldi anche da chi è escluso dal mondo dei pagamenti. Anche la Banca d’Italia ha appena messo nel mirino questo fenomeno. Perché l’Italia è un Paese foriero di frodi carosello dell’Iva, la seconda imposta più evasa con circa 17 miliardi di mancato gettito, secondo l’ultima relazione sull’economia sommersa del Tesoro.
Si tratta di marchingegni contabili che sfruttano le falle del sistema comunitario. Si avviano aziende fittizie che acquistano beni senza il pagamento dell’Iva da fornitori intracomunitari e li rivendono applicando invece l’imposta, che però non viene mai girata all’erario. Fra i sistemi più utilizzati per riciclare l’incasso illecito c’è ora il meccanismo dei mixer. Strumenti che raccolgono criptovalute da un numero elevato di utenti. In grado di mischiare l’ammontare complessivo del denaro virtuale ottenuto per poi ri-trasferirlo ad altri indirizzi riconducibili agli stessi utenti che hanno compiuto la prima operazione, facendone perdere traccia. Una truffa digitale a danno di tutti.