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La corsa del Big Tech a prodursi energia: ecco i maxi data-center

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Velasco25 Articolo

Big Tech ha fame, tanta fame di energia. Perché i carichi computazionali legati all’intelligenza artificiale cresceranno del 25-35% all’anno fino al 2027, secondo un recente rapporto della società di consulenza Bain. Ciò porterà ad un conseguente incremento della domanda di potenza di calcolo, che spingerà i data center a evolvere verso dimensioni di oltre un gigawatt.

Ecco perché la nuova tendenza delle grandi aziende tecnologiche è di verticalizzare tutto, compresi il fabbisogno energetico e la disponibilità di terre rare. Dopo Google, che ha appena ordinato alla startup americana Kairos Power di costruire fino a sette piccoli reattori modulari (Smr), anche Amazon ha annunciato la firma di tre accordi con Energy Northwest per sviluppare progetti di energia nucleare. L’intesa include la costruzione di Smr, che hanno il vantaggio di un minore impatto sull’ambiente, possono essere collocati vicino alla rete di distribuzione elettrica e sono più veloci da costruire. Ma anche Microsoft si è mossa. A fine settembre il gruppo guidato da Satya Nadella ha stretto un’intesa con Constellation Energy per riportare in funzione il reattore della centrale di Three Mile Island, in Pennsylvania. Con questo contratto Microsoft avrà energia nucleare per i prossimi 20 anni.

Non tutti sono d’accordo su queste scelte: i detrattori di questa tecnologia sostengono che i reattori di questo tipo potrebbero generare costi superiori alle attese perché non in grado di raggiungere le economie di scala degli impianti più grandi. Ma la scelta Google ha un forte segnaletico sostenendo un investimento a lungo termine. La nuova corsa delle aziende a garantire il proprio futuro non riguarda soltanto l’energia. General Motor ha investito quasi un miliardo nelle miniere di litio per assicurarsi la fornitura di un componente essenziale per le batterie elettriche, necessarie alla transizione verde. Il car-maker ha creato una joint-venture con il gruppo di Vancouver Lithium Americas, aumentando il suo impegno finanziario per sviluppare la miniera Thacker Pass in Nevada. Si tratta del maggiore investimento del settore da parte di un gruppo automobilistico. L’intesa garantisce a Gm il diritto di esclusivo per 20 anni sulla produzione di litio, sufficiente a produrre 800mila veicoli elettrici. La scelta del costruttore nasconde un’altra esigenza: la necessità da parte delle aziende di mettersi al riparo dalle crescenti tensioni geopolitiche, che rendono sempre più incerte le catene di approvvigionamento di materie prime sensibili, a cominciare dalle terre rare.

Oggi è un mercato dominato dalla Cina. E il fatto che gli Stati Uniti da tempo abbiano dichiarato la guerra commerciale a Pechino, vietando l’export e l’import di tecnologie cinesi, non promette nulla di buono. Soprattutto in caso di escalation su Taiwan. I rischi geopolitici e la svolta protezionistica non salvano l’Ue. Per questo la Commissione ha chiesto agli Stati di ripensare le catene di fornitura, riportandole in Europa e privilegiando i Paesi “amici”. Ma Bruxelles ha anche chiesto di riaprire le miniere, scelta che ha preso anche l’Italia. La fine del gas russo a buon mercato è una delle ragioni che hanno ridotto la competitività dell’industria europea. In un mondo sempre più affamato di energia per il cloud computing e l’intelligenza artificiale. E di terre rare decisive per le batterie elettriche.

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