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Governo stabile e interlocuzione con gli Stati Uniti, l’Italia guarda al futuro con ottimismo

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Velasco25 Articolo

La stabilità del governo Meloni e la vicinanza ideologica con Trump fanno dell’Italia un interlocutore privilegiato degli Stati Uniti.

A cavallo tra un anno che volge al termine e uno nuovo che inizia, si respira sempre un’aria di attesa. Che cosa accadrà nel 2025? Staremo meglio o peggio? I prezzi dell’energia finalmente caleranno? Si aprirà una guerra commerciale all’insegna dei dazi e della ‘retaliation’? Il conflitto in Ucraina cesserà? E in Medio Oriente quale sarà la ‘ricetta Trump’? Da cittadini e spettatori del mondo possiamo soltanto osservare gli eventi che si svelano davanti ai nostri occhi e non dipendono da noi, mentre ci dividiamo tra le incombenze di lavoro e famiglia, tra le scadenze e i doveri a cui ottemperare. Su questo universo personale abbiamo capacità di incidere, formuliamo perciò le nostre ‘New Year’s Resolutions’ pensando a ciò che vorremmo cambiare per sfiorare la felicità con la punta delle dita, quanto al resto guardiamo e speriamo. La speranza, del resto, muove il mondo, è da sempre il carburante dei grandi movimenti della storia. Per l’Italia alcuni segnali lasciano ben sperare: nel deserto di leadership continentali, l’Italia è l’unico Paese fondatore dell’Unione europea con un governo forte e stabile. A oltre due anni dall’insediamento, il consenso di Giorgia Meloni è persino cresciuto, non si può dire altrettanto degli omologhi tedesco e francese.

La Germania si avvia verso elezioni anticipate, la parabola di Emmanuel Macron è al tramonto (e con scarso encomio). Oltreoceano, Donald Trump ha stravinto le elezioni smentendo sondaggi, analisti e fini commentatori che agitavano l’emergenza ‘fake news’ per coprire il vuoto politico dei Democratici e la debolezza della principale sfidante. Del resto, oggi le ‘fake news’ sono un’arma straordinaria della propaganda progressista: se ti discosti dal pensiero mainstream, sei un propagatore di disinformazione. Ad ogni modo, il voto americano segna uno spartiacque: dopo il 20 gennaio, data del grande ritorno del presidente Trump alla Casa Bianca, nulla sarà più come prima.

E l’Italia, guidata da una donna di destra, che conosce Trump ed è parte della medesima famiglia politica, potrà coltivare una ‘special relationship’ con il nostro principale partner strategico. Anche in questo caso, sugli allarmismi bisognerebbe far prevalere un cauto ottimismo: i quattro anni del ‘Trump I’ si ricordano per la buona performance dell’economia a stelle e strisce e per l’assenza di iniziative militari. Il primo term trumpiano è stato incredibilmente ‘pacifista’. Le promesse di un presidente eletto che dichiara di voler porre fine alle guerre dovrebbero farci tirare un sospiro di sollievo, anche perché il calo di competitività delle imprese europee ha risentito negativamente dell’esplosione dei costi energetici a seguito del conflitto ucraino. Rinunciare al gas russo a basso costo ha danneggiato le nostre imprese (e la Germania in recessione ne sta pagando il conto). Vedremo che cosa accadrà, presumibilmente Trump farà ciò che meglio gli riesce da ineffabile ‘dealmaker’ qual è: negoziare. E allora, al tavolo delle trattative anche commerciali, l’Italia potrà giocare la sua parte, meglio se nella cornice di un’Europa forte e consapevole della posta in gioco. Il ‘rapporto Draghi’ ha enucleato le sfide esistenziali che ci riguardano come continente. È una prova che segnerà un mondo destinato, in ogni caso, a cambiare.

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