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L’inflazione russa: Putin tra due fuochi ma non è ancora catastrofe

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Velasco25 Articolo

A quasi tre anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, la capacità di Mosca di proseguire il conflitto sembra messa a dura prova dall’inflazione. Il rublo è in caduta libera. Ha perso il 25% del suo valore rispetto al dollaro, se prima dell’inizio della guerra il tasso di cambio era di 7o/80 rubli per un dollaro, ora si attesta sopra i 100 rubli. Il suo valore è inferiore persino rispetto a quello dello yuan cinese e questo rende più care le importazioni dalla Cina.

Il carovita e il crollo della produttività
A metà novembre il tasso annuale dell’inflazione si è attestato sull’8,56% anche se, secondo gli esperti, l’aumento dei prezzi potrebbe anche essere superiore dal momento che la governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, lo scorso luglio ha portato i tassi di interesse al 16% mentre a novembre sono arrivati al 21%. L’effetto più tangibile è che il costo dei beni di prima necessità è aumentato del 30/40% rispetto all’inizio della guerra. Ma da che cosa è dipeso? La causa è evidente: l’aumento della spesa per la produzione di armi e l’effetto delle sanzioni. Senza dimenticare il crollo della produttività: più domanda ma meno produzione, dovuta alla carenza di lavoratori specializzati che o fuggono dal paese alla ricerca di condizioni migliori o vengono reclutati in massa per il fronte ucraino.

Gli oligarchi contro la banca centrale
Uno scenario complesso che sta creando al Presidente Vladimir Putin non pochi problemi di governance politica ed economica. Da un lato la governatrice Nabiullina ha dichiarato che la Banca centrale non può mollare, pena un paese travolto dall’iperinflazione, dal momento che il carovita sembra tutt’ora inarrestabile nonostante i tassi di interesse al 21%. Dall’altro lato alcuni importanti oligarchi del settore militare stanno insorgendo. Per fare alcuni nomi, si tratta di Alexei Mordashov di Severstal, uno dei maggiori gruppi siderurgici attualmente esistente a livello globale, di Sergei Chemezov di Rostec, una delle più importanti holding statali nel settore della tecnologia e della difesa che da sola copre la produzione dell’80% delle armi utilizzate in Ucraina e di due importanti nomi dell’industria dell’alluminio come Oleg Deripaska e Sergei Mordashev. Sono stati loro a chiedere a Putin di rimuovere Nabiullina, affinché la Banca centrale russa venga riportata sotto l’egida governativa. Stando alle accusa degli oligarchi, infatti, le politiche di innalzamento dei tassi sarebbero le prime imputate del rallentamento economico nel paese.

Tutto dipende dal petrolio
Attualmente, nonostante la situazione difficile, gli esperti non vedono ancora profilarsi la catastrofe per Mosca, soprattutto se guardate da un punto di vista internazionale. La crisi tedesca, dipinge il quadro di un’Europa in altrettanta difficoltà, senza contare che attualmente Mosca è ancora in grado di continuare la guerra grazie ai ricavi derivanti dalle vendite di petrolio a Cina, India, Turchia, Malesia e Indonesia e dai conflitti in Medio Oriente che mettono al centro gli interessi dei paesi produttori ed esportatori di oro nero. Solo il crollo dei prezzi di questo combustibile fossile renderebbe la situazione russa critica, ma per avere un’idea più chiara su questo dobbiamo attendere il 2025.

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