Che Stellantis non sia un’azienda privata come le altre, lo ha confermato John Elkann con l’inattesa telefonata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al premier Giorgia Meloni. Di solito, quando licenzi il tuo Ad, non chiami le più alte cariche dello Stato. Una telefonata inconsueta con la quale il presidente di Stellantis ha manifestato una sensibilità istituzionale affatto scontata, riconoscendo all’Italia un valore specifico rispetto al ruolo e alle strategie del gruppo automobilistico, nato dalle ceneri della storica Fiat. Da qui dunque la necessità, avvertita da Elkann, di informare il Quirinale e Palazzo Chigi delle dimissioni (obbligate) di Carlos Tavares.
Oltre i simboli (che in questa storia contano), c’è il passo indietro del manager dell’automotive più pagato di sempre (36,5 milioni nel 2023, record assoluto), regista della fusione tra Fca e Psa, che dal 2021 guidava il gruppo e da alcuni mesi appariva sempre meno in sintonia con la governance dell’azienda al punto che già a settembre era stata annunciata la sua uscita nella primavera del 2026 e si era formalmente avviata la ricerca del successore.
In Italia, dove il gruppo affonda le sue radici, lavorano oltre 40mila persone. In Italia Stellantis possiede sei stabilimenti tra assemblaggio e meccaniche (Torino, Pomigliano, Modena, Cassino, Melfi e Atessa). Qui la fu Fiat ha costruito un impero industriale, a conduzione familiare, che ci riporta indietro alla parabola del nonno di Elkann, Gianni Agnelli. La Fiat è stata il simbolo della rivoluzione industriale italiana nel dopoguerra, e anche un caso emblematico di capitalismo familiare, abilissimo nel privatizzare i profitti e socializzare le perdite. Di questa eredità, Elkann non sempre è parso sufficientemente consapevole.
Perché Tavares va via? Il manager portoghese, con la fama di tagliatore di costi, può essere considerato la prima vittima eccellente della transizione energetica. Tra la revisione degli obiettivi 2024 e il calo delle quote di mercato, tra le difficoltà negli Usa e nel Nord America (area dove Stellantis ha sempre registrato risultati record), Tavares non è riuscito a riposizionare l’azienda nell’era dell’elettrico. Ci ha provato ma i risultati gli hanno dato torto: vendite in calo e incentivi insufficienti. Il valore delle azioni è sceso del 38 percento negli ultimi dodici mesi, secondo Bloomberg. Così, mentre negli Usa partiva la class action dei piccoli investitori con i sindacati sul piede di guerra, Tavares siglava un’intesa con i cinesi di Leapmotor per far nascere una joint venture per la produzione e commercializzazione delle elettriche in Europa. Accordo che non gli ha attirato molte simpatie, soprattutto in Italia dove il manager è parso assai poco duttile con la politica trascinando l’azienda in interminabili polemiche con il governo e con i sindacati. Un mese fa, in audizione alla Camera dei deputati, lo scontro è stato duro. L’attesa, adesso, è che Elkann, in coerenza con la sensibilità manifestata, accolga la richiesta del Parlamento italiano per un confronto aperto, volto a dare garanzie sul futuro di Stellantis nel nostro Paese.
Si diceva: la transizione energetica e le sue vittime. Oltre il caso Stellantis, ci sono i costi annunciati da Mercedes-Benz per “diversi miliardi di euro”; la scure di Nissan con circa 1000 dipendenti licenziati o trasferiti entro l’autunno del 2025 in Thailandia, a fronte della flessione della casa giapponese; ci sono i quattromila esuberi di Ford in Europa entro la fine del 2027, in gran parte in Germania e nel Regno unito; ci sono i tre stabilimenti tedeschi che Volkswagen, cuore del made in Germany, ha annunciato di voler chiudere, con raffica di manifestazioni e scioperi a oltranza in tutto il Paese (“sarà la vertenza più dura sul rinnovo del contratto che l’azienda abbia mai visto”, ha tuonato il leader delle tute blu Thorsten Gröger). Con l’industria anche l’indotto è andato in crisi: dalla Bosch a Valeo, da Northvolt a Schaeffler o Michelin. Sono decine le aziende della filiera in sofferenza, costrette a lasciare a casa migliaia di dipendenti (Bosch prevede di licenziare 5500 persone in tutto il mondo, Northvolt ha portato i libri in tribunale, Michelin va verso la chiusura di Cholet e Vannes). “Non sono un mago, sono un essere umano come voi”, aveva ammesso, recentemente, Tavares. Aveva ragione. L’automotive non risorgerà grazie a qualche magia ma solo partendo da una visione nuova, in Europa e nel mondo, incentrata sulle esigenze reali del mercato e dei consumatori.