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Giovani e social: chi sogna una vita analogica e chi un amico vero

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Velasco25 Articolo

Era meglio quando stavamo peggio: nell’era dei social, i giovani si divono tra il richiamo delle ‘sirene digitali’ e una sorta di ritorno al passato, sognando l’analogico. Qualche indizio doveva darcelo la riscoperta degli anni ’80 e ’90 e il fervore dei giovanissimi fan del social detox. Ma in realtà la ‘fotografia’ che arriva dall’indagine condotta dall’Associazione Nazionale DiTe (Dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo) in collaborazione con il portale studentesco Skuola.net, è più articolata.

Una parte dei giovani italiani vorrebbe avere una sana vita ‘analogica’. Così circa la metà prova a uscire di casa per divertirsi, fare sport con regolarità e adottare uno stile alimentare equilibrato. Ma tanti altri si lasciano ipnotizzare dalla dimensione digitale, con effetti deleteri su umore e prospettive per il futuro. Le più colpite sono le ragazze. E non è un caso che il 90% dei 19-24enni rilevi un peggioramento della capacità di comunicare nella realtà a causa proprio dell’abuso dei social.

Ci vorrebbe un amico

La vita nelle isole digitali sta facendo sì che i giovani siano “sempre più isolati”. E ormai la ridotta capacità di relazionarsi con gli altri si riflette nella crescente assenza di amici in carne ed ossa: il 26,8% non ha legami significativi coltivati regolarmente con incontri al di fuori delle piattaforme digitali.

Diventa difficile anche uscire di casa: il 14,4% spesso fa fatica a incontrare i propri amici dal vivo. “Questi dati – sottolinea Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione Di.Te. – ci restituiscono il ritratto di una generazione consapevole dell’importanza delle relazioni autentiche e delle buone abitudini, ma al tempo stesso immersa in una realtà che amplifica insicurezze e solitudini”.

L’indagine, diffusa in anteprima da Adnkronos Salute, è stata condotta su un campione di 2.510 ragazze e ragazzi italiani tra i 10 e i 24 anni in occasione della Giornata nazionale contro le dipendenze tecnologiche, indetta dalla stessa associazione per il 30 novembre.

Influenza degli influencer

Attenzione, non dobbiamo pensare che l’overdose digitale abbia reso i ragazzi ‘impermeabili’: il 49,3% ammette di sentirsi influenzato da ciò che vede sui social media, mentre il 34,2% si sente spesso triste o insoddisfatto dopo un uso prolungato delle piattaforme sociali, avvertono gli autori dell’indagine.

“Qui sta la chiave dell’apparente contrasto tra la ricerca del benessere fisico e il malessere mentale: infatti il 36% del campione ammette che il rapporto con il proprio corpo è legato a doppio filo con i modelli proposti dai social. Anche la ricerca di un ‘fisico da post’ fa parte degli effetti della dieta digitale”, segnala Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.

Gli eredi del dottor Google

Ma attenzione: la cura per questi stati d’animo viene cercata nella loro causa. Spesso, infatti, si visitano proprio i social per gestire distrarsi dagli stati d’animo come tristezza o rabbia (58%) oppure frustrazione e delusione (54,4%). Insomma, dopo il dottor Google siamo nelle mani del dottor Instagram e del prof. TikTok.

Oltretutto la percezione dell’influenza (negativa) dei social varia notevolmente tra i generi: se tra la ragazze è il 65% a sentirsi condizionata da ciò che vede online, tra i ragazzi ci si ferma al 31%. Per questo, secondo lo psicologo Lavenia, “è fondamentale lavorare su percorsi educativi che aiutino le ragazze a sviluppare una maggiore autostima, offrendo loro strumenti per leggere criticamente i contenuti online e contrastare le insicurezze”.

Ombre sul futuro

Questo atteggiamento ha un impatto su sogni e progetti della Gen Z. “Il 62,3% delle ragazze e dei ragazzi confessa di fare fatica a immaginare la propria vita futura. Una difficoltà che, peraltro, cresce con l’età – dice Lavenia – Viviamo in un’epoca in cui tutto è istantaneo, e questa immediatezza sembra soffocare la capacità di progettare a lungo termine. I social, che dovrebbero essere uno strumento, diventano spesso un rifugio che però amplifica frustrazione e insoddisfazione”.

Un patentino digitale

Ma allora come aiutare i giovani italiani? A interrogarsi sul problema sono gli esperti internazionali. Qualche mese fa l’American Psychological Association e il General Surgeon americano Vivek Murthy avevano acceso i riflettori sulle insidie legate a telefonino e social per le giovani menti, proponendo degli alert ad hoc sulle piattaforme, un po’ come accade con i pacchetti di sigarette.

Giovanissimi e telefonino: dai divieti al detox, è crisi

Nel frattempo l’Australia è passata dalle parole ai fatti, approvando la prima legge al mondo che vieta ai minori di 16 anni di usare i social.

“Sono troppi quelli che ne abusano: il 53,4% vi trascorre tra 1 e 3 ore al giorno”, ricordano i curatori dell’indagine italiana. La proposta è quella del patentino digitale, ovvero “no smartphone agli under 14 né social agli under 16“.

“Non è un caso che il 90% dei 19-24enni rilevi un peggioramento della capacità di comunicare nella realtà a causa di un abuso nell’uso dei social, quando tra i 10-15enni a pensarla così è ‘solo’ il 56% – si legge nell’indagine – Questa dinamica si rileva anche quando si tratta di chiedere il parere su possibili ausili per usare meglio lo strumento: il 49%, ad esempio, si dice favorevole all’introduzione di un patentino digitale obbligatorio per la ‘navigazione’, con percentuali che salgono al 66% tra i 19-24enni”.

Sorprendentemente trova un certo consenso anche l’idea di vietare completamente lo smartphone sotto i 14 anni e i social agli under 16: il 47% sarebbe d’accordo, con un placet non trascurabile sia da parte dei diretti interessati (il 29% tra i 10-15enni) che dei loro colleghi più grandi (il 49% tra i 19-24enni), spiegano gli autori.

Tra dialogo e geolocalizzazione

E i genitori? La buona notizia è che, tra un post e un like, anche gli adulti iniziano a parlarne: solo il 32% dei giovani intervistati non affronta mai queste tematiche con mamma o papà. Un po’ a sorpresa, la metà di loro (48,7%) ritiene che un maggiore coinvolgimento degli adulti potrebbe aiutare a vivere meglio questa dimensione. Ma se l’indifferenza fa male, anche l‘eccesso di controllo può rappresentare un rischio: al 62,3% dei ragazzi è successo di essere stato geolocalizzato dai  genitori. Una strategia di pedinamento digitale accettata solo dal 51,2% di quanti l’hanno subita. Chissà che questi dati non spingano qualche adulto a spegnere (almeno ogni tanto) lo smartphone per guardare negli occhi i figli e riscoprire, insieme, i passatempi da boomer.

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