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Aids: i numeri e le sfide in Italia, a partire dalla nuova legge

Hiv Aids
Adyen Articolo
Velasco25

L’Italia della lotta all’Aids è consapevole dell’importanza di unire gli sforzi  contro un virus contro il quale oggi sappiamo come difenderci, ma che non abbiamo ancora sconfitto. Se i pazienti e le associazioni puntano i riflettori su ciò che ancora manca, al centro dell’attenzione c’è la nuova legge sull’Aids.

Una “proposta di legge, tra l’altro condivisa, è ferma in commissione Affari sociali. Si tratta di un lavoro di alcuni anni. Ma mi auguro che il 1 dicembre del 2024 sia l’ultima Giornata mondiale contro l’Aids senza una nuova legge”. Con queste parole Mauro D’Attis, componente V commissione Bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei Deputati e relatore nell’ottobre 2022 della proposta di legge su interventi per la prevenzione di Hiv, Aids e Papilloma Virus, rilancia gli sforzi per la nuova legge ad hoc, dal palco della presentazione del libro bianco ‘Hiv. Le parole per tornare a parlarne’, a Roma.

“Quello che ci viene chiesto è” uno strumento che innovi la legge 135 del ’90, “dopo trent’anni, e che doti il Paese di nuovi strumenti per combattere l’Hiv, l’Aids, l’Hpv e le malattie sessualmente trasmisse”, dice D’Attis, promettendo di appellarsi anche alla sensibilità del ministro della Salute, Orazio Schillaci. Un impegno, quello per la nuva legge, condiviso da Simona Loizzo della XII Commissione Affari sociali della Camera. Il 2025 potrebbe finalmente essere l’anno giusto.

Stigma, confusione e pregiudizi

Ma quanto ne sanno gli italiani su Hiv e Aids? Il 57,3% dice di essere abbastanza informato, ma solo il 10,6% afferma di saperne ‘molto’. E si vede. C’è ancora confusione sulla trasmissione del virus: il 14,5% pensa che sia sufficiente baciare una persona con Hiv per contrarre il virus, il 16,6% è allarmato dall’idea di essere punto da una zanzara che prima ha punto una persona con Hiv o di respirare l’aria respirata da una persona con Hiv (5,2%). Una mancanza di conoscenza che porta da una parte a sottovalutare il pericolo – il 63% si sente a rischio “nullo” – e a non fare il test, eseguito solo dal 29,3% di quanti dicono di conoscere il virus. Dall’altra ad aver paura di cose strane.

Prevenzione, sì ma come?

C’è confusione anche sulle strategie di prevenzione e sulla profilassi pre-esposizione (PrEP), conosciuta solo dal 6,7%, e sui servizi che si possono trovare nei checkpoint (43,5%), presidi territoriali di cui il 56,5% non conosce l’esistenza. Insomma, il quadro che emerge dall’indagine demoscopica realizzata da AstraRicerche per Gilead Sciences su un campione di oltre 1.500 persone fra i 18 e i 70 anni, mostrano come ci sia ancora molto da fare.

Il Libro Bianco

“Hiv. Le parole per tornare a parlarne”, è una sorta di viaggio che parte da quattro parole chiave – prevenzione, stigma, checkpoint e qualità di vita – per riportare l’attenzione sul tema dell’Hiv e passare all’azione, proponendo interventi concreti nella lotta a questa infezione.

“Da sempre il nostro impegno è stato quello di costruire un futuro libero dall’Hiv – rivendica Frederico Da Silva, General Manager e Vice President di Gilead Sciences Italia – Oggi questa epidemia appare dimenticata, uscita dal dibattito pubblico. Riteniamo che sia cruciale continuare ad impegnarci per garantire innovazione terapeutica nella prevenzione, trattamento e cura dell’Hiv, collaborando con la comunità scientifica, le associazioni e le istituzioni, per far sì che si torni a parlarne. Ma non basta, dobbiamo farlo con linguaggio rinnovato e diverso, per contribuire a raggiungere quanto prima l’obiettivo di porre fine a questa infezione”.

Se per l’infettivologo della Cattolica Stefano Vella l’Hiv “è un problema di salute globale che va affrontato tenendo conto anche della realtà del Sud del mondo”, secondo il numero uno di Gilead Sciences Italia solo con la collaborazione e l’impegno di tutti la lotta ad Hiv-Aids potrà davvero cambiare passo.

Da sinistra Stefano Vella, Margherita Lopes e Frederico Da Silva

I numeri

E in Italia? Su questo fronte le notizie non sono bellissime. “Le nuove diagnosi di Hiv nel 2023 sono state 2.349, in aumento rispetto alle 2.140 del 2022 e vicine alle 2.510 registrate nel 2019. Di queste oltre il 40% è avvenuta quando la conta dei linfociti CD4 era inferiore a 350, un valore che indica un arrivo tardivo alla diagnosi. I maschi nella fascia 30-39 anni si confermano il gruppo con una maggiore incidenza di nuove diagnosi. E fra le regioni italiane è il Lazio a mostrare il dato più alto per quanto riguarda i nuovi casi. Un trend indicativo – segnala Barbara Suligoi, direttrice del Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità – che va di pari passo con l’andamento delle altre infezioni a trasmissione sessuale, in aumento soprattutto tra i giovani. È necessaria una maggiore sensibilizzazione sia sulle norme di prevenzione che sull’accesso al test”.

Non solo. “In Italia si stima vi siano ancora più di 10.000 persone che non sanno di avere il virus”, ricorda Andrea Antinori, direttore Dipartimento Clinico, Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani Irccs di Roma. “Per riuscire a mettere in campo delle strategie di prevenzione efficaci, che consentano di far emergere questo sommerso e bloccare di conseguenza la catena dei contagi, dobbiamo lavorare sulla cultura della percezione del rischio, incentivando l’utilizzo degli strumenti di prevenzione a nostra disposizione, come il test dell’Hiv, il profilattico e la profilassi farmacologica, aumentando la capillarità di azione, moltiplicando e sostenendo i checkpoint, anche e soprattutto con risorse pubbliche; abbiamo insomma bisogno di un esercito di stakeholder in cui ognuno faccia la sua parte”.

Stop a pregiudizio e stigma

Aver smesso di parlare di questo virus significa ha ostacolato la conoscenza di alcune verità scientifiche, come quella che si indica con la sigla U=U (Undetectable=Untransmittable): le persone con Hiv che hanno la carica virale non rilevabile non possono trasmettere il virus. Un concetto fondamentale che conosce solo il 22,9% della popolazione, come risulta dall’indagine di AstraRicerche.

“L’efficacia delle terapie è uno strumento potentieanche contro lo stigma che purtroppo ancora oggi circonda chi vive con Hiv”, evidenzia Davide Moschese del Dipartimento di Malattie infettive Ospedale Luigi Sacco di Milano. “È innegabile, infatti, che lo stigma sia legato anche al timore di trasmissione del virus. Lo stigma non solo non va sottovalutato, ma è fondamentale combatterlo tramite la divulgazione corretta delle conoscenze scientifiche, per aumentare la consapevolezza sui propri comportamenti, favorire l’aderenza alle terapie e abbassando così il muro dell’isolamento sociale”.

I checkpoint, tra bisogni e qualità di vita

Informazione, possibilità di eseguire il test, di accedere alla PrEP, supporto psicologico e possibilità di confronto fra pari. Sono questi i servizi offerti dai checkpoint, che svolgono un ruolo fondamentale sul territorio, raggiungendo anche chi ha difficoltà a rivolgersi al servizio sanitario. Una realtà poco conosciuta – secondo l’indagine solo il 43,5% ne ha “sentito parlare”, mentre il 56,5% non ne conosce l’esistenza – e scarsamente riconosciuta dalle Istituzioni.

“Il checkpoint è un luogo aperto, inclusivo, sicuro, privo di discriminazioni, fatto dalla comunità per la comunità. L’aspetto comunitario è ciò che lo differenzia dagli altri servizi per la salute sessuale pubblici e istituzionali, che hanno un approccio verticale, dal medico verso l’utente. Al contrario, nel checkpoint gli interventi e le relazioni sono orizzontali, fra persone alla pari, l’operatore e l’utente parlano e interagiscono sullo stesso livello”, sottolinea Daniele Calzavara, Coordinatore Milano Check Point ETS.

“Il checkpoint è un avamposto della prevenzione, una postazione privilegiata per poter arrivare alle persone in maniera efficace – prosegue Filippo Leserri, Presidente Plus Roma – Il nostro assunto è che il sesso, come ogni piacere, potrebbe comportare dei rischi, che tuttavia possono essere limitati, scegliendo tra tutti gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione, quello che risponde meglio ai propri bisogni”.“Purtroppo, come sappiamo bene, l’Hiv è oggi un tema di scarso interesse politico”, sottolinea Sandro Mattioli, Presidente Plus – Rete Persone LGBT+ Sieropositive APS.

Le priorità della ricerca

La ricerca ha fatto molto per controllare il virus. Nel tempo le terapie sono divenute più ‘sostenibili’, ma non sono poche le novità in arrivo sul fronte del long acting. “Quello della qualità di vita è un concetto multidimensionale che necessita di un approccio personalizzato e paziente-centrico – ricorda Anna Maria Cattelan, Direttore UOC Malattie Infettive Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova – Serve dunque un approccio integrato e multidisciplinare che preveda la presenza anche di altre figure come l’infermiere, lo psicologo e l’assistente sociale, per trattare il tema sotto ogni aspetto. In questi anni non siamo ancora riusciti a mettere a punto un vaccino, ma la ricerca non si ferma”. Anche perchè il sogno delle persone con Hiv è chiaro: sconfiggere definitivamente questo virus.

La legge sull’Aids

“È estremamente urgente inviare un segnale concreto nella lotta all’Hiv e alle altre infezioni sessualmente trasmissibili. Si tratta di una sfida impegnativa per il nostro sistema sanitario e per la società, per questo occorrono azioni incisive. La proposta di legge 218 dell’on. D’Attis dopo due anni è ancora bloccata, eppure è sostenuta da un consenso politico trasversale ed è accompagnata da una pianificazione economica sostenibile. L’auspicio, quindi, è che venga rapidamente approvata”, chiosa Rosaria Iardino, presidente della Fondazione The Bridge.

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