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Piazza Affari, delisting da 28 miliardi: perché tante società lasciano la Borsa

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Velasco25 Articolo

È un lungo elenco, quello delle società che hanno lasciato Piazza Affari nel 2024. Una serie di delisting che pesa 28 miliardi di euro, contro un solo miliardo di euro in ingresso. L’anno che sta per concludersi, in continuità con quello precedente, ha confermato le difficoltà di Piazza Affari nel riuscire ad attrarre nuove realtà sul mercato principale. 

Cnh Industrial (15 mld di capitalizzazione di mercato) e UnipolSai (quasi 7 mld) sono stati i due principali delisting per dimensione, dettati verosimilmente da motivazioni differenti (il secondo è un caso di accorciamento della catena di controllo, perché resta quotata Unipol Gruppo). Ma la lista è destinata ad allungarsi nel 2025: sono molte infatti le società che si apprestano a lasciare il listino nelle prossime settimane, fra cui Unieuro, Relatech, Piovan e Cir.

Fra le principali cause dell’abbandono, figurano le opportunità offerte dal private equity. “Molte possono essere le ragioni del delisting. Ad esempio, può accadere che gli imprenditori si trovino davanti a quotazioni che giudicano insoddisfacenti”, spiega Massimo Belcredi, ordinario di Finanza aziendale all’Università Cattolica. 

La sede della Borsa italiana in Piazza Affari (ANSA/DANIEL DAL ZENNARO)

“Possono quindi decidere di depistare la società, proseguendo con l’appoggio di altri finanziatori, come i fondi di private equity, che si offrono di aiutare gli imprenditori a riportare la società nel privato. Senza escludere però il ritorno dopo qualche anno: la Borsa è talvolta una porta girevole”. 

Il mercato del private equity ha vissuto negli ultimi anni una fase di grande espansione. “La logica di questi operatori – prosegue Belcredi – è quella di investire per far fare un salto di dimensione e di efficienza alla società, con un’uscita a 5-7 anni, magari verso altri acquirenti, magari verso la Borsa stessa. Oggi gli imprenditori guardano alla Borsa come a uno dei canali per raccogliere capitali, non necessariamente l’unico. È innegabile che la Borsa italiana abbia perso un po’ di attrattiva”. 

Da anni Belcredi cura un rapporto sulla governance delle società italiane quotate. “Nei primi anni Duemila, eravamo arrivati ad avere un campione di 280 società, quest’anno sono state 207: abbiamo perso un terzo delle quotazioni, spesso anche di società importanti”. 

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