Bruciare somme importanti sul tavolo verde, ‘svuotare’ la carta di credito in un giro di shopping selvaggio. Vi chiederete: cosa hanno in comune gioco d’azzardo patologico, shopping compulsivo e Parkinson? Ebbene, un team di ricercatori italiani ha messo in luce la relazione tra la terapia per questa malattia neurodegenerativa e la propensione al rischio nei pazienti con disturbo del controllo degli impulsi.
La chiave nella dopamina
Al centro della ricerca – coordinata dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi e la Scuola di Economia e Management dell’Università di Firenze – alcuni farmaci per il Parkinson che agiscono sulla dopamina. Un neurotrasmettitore indispensabile al metabolismo cerebrale, carente nelle persone con morbo di Parkinson.
Questi medicinali possono aumentare, solo in pazienti predisposti, una certa propensione al rischio, senza compromettere però le capacità cognitive. I ricercatori sono molto cauti, ma sottolineano che in una minoranza di pazienti, i farmaci possono avere una certa influenza sul modo in cui vengono prese le decisioni. Influendo sul sistema che ci permette di valutare costi e benefici di una scelta.
La scoperta
I medicinali che agiscono sulla dopamina “sono fondamentali per migliorare le capacità motorie” dei pazienti di Parkinson”, sottolinea Fabio Taddeini, primo autore dello studio e PhD student dell’Istituto di BioRobotica. “Tuttavia i nostri studio suggeriscono che, in una minoranza dei pazienti, possono alterare il modo in cui prendiamo le decisioni, portando nei casi peggiori alla dipendenza da gioco d’azzardo”.
Il test
Lo studio coordinato dall’Istituto di BioRobotica ha esaminato gli effetti dei farmaci dopaminergici anti-tremore sulla capacità decisionale dei pazienti con Parkinson, con e senza disturbo del controllo degli impulsi. Il tutto grazie a un test comportamentale sviluppato insieme alla Scuola di Economia e Management dell’Università di Firenze.
I ricercatori hanno chiesto a due categorie di pazienti con Parkinson, con disturbi decisionali e senza, di partecipare a un videogioco in cui dovevano fare scelte più o meno rischiose. “I pazienti dovevano scegliere più volte tra due opzioni: una con una vincita bassa ma con un rischio minimo di perdita, e un’altra con una vincita alta ma con un rischio maggiore di perdita. Dopo ogni scelta i pazienti venivano informati del risultato e dovevano adottare una strategia che li facesse vincere il più possibile”, racconta Taddeini.
Scelte più rischiose
“Prima della somministrazione dei farmaci, tutti i pazienti hanno adottato correttamente la strategia a basso rischio, considerata ottimale dal punto di vista economico” continua Taddeini. “Solo dopo l’assunzione dei farmaci i comportamenti si sono differenziati: i pazienti senza disturbi hanno mantenuto la strategia a basso rischio, mentre quelli con disturbi decisionali hanno mostrato un graduale aumento delle scelte rischiose”.
L’innesco
“La nostra ipotesi – puntualizza Alberto Mazzoni, professore associato di Bioingegneria presso la Scuola Superiore Sant’Anna e coordinatore dello studio – è che i disturbi del controllo degli impulsi non siano dovuti ai farmaci di per sé, ma che questi funzionino da innesco in pazienti particolarmente predisposti. È essenziale approfondire ulteriormente questo fenomeno, per capire l’origine di questi disturbi e sviluppare terapie più mirate che possano prevenirli”.
La malattia e il controllo degli impulsi
Il Parkinson colpisce principalmente il controllo motorio, causando sintomi tipici come tremore, rigidità e difficoltà nei movimenti. Questi problemi possono essere ridotti somministrando ai pazienti farmaci ad hoc. Esistono però anche sintomi non motori, come alterazioni dei processi decisionali che sfociano nei cosiddetti disturbi del controllo degli impulsi. “Il disturbo del controllo degli impulsi – interviene Silvia Ramat, neurologa e responsabile della Parkinson Unit dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi – è un disturbo del comportamento che in alcuni casi può complicare la malattia di Parkinson, causando problemi personali, familiari e sociali”.
Questo lavoro “approfondisce un aspetto importante della malattia di Parkinson e – conclude Ramat – aiuterà i medici a mettere in atto una terapia sempre più personalizzata”.