Mentre dai laboratori arrivano nuovi farmaci studiati per imbrigliare in fase precoce la malattia di Alzheimer, la ricerca non si ferma. E accende i riflettori sulla nostra pelle: lo studio di alcune caratteristiche dell’epidermide potrebbe rivelare infatti preziose informazioni sullo stato di salute del cervello e sul rischio di sviluppare patologie come l’Alzheimer.
Per tenere il passo con le ultime novità della ricerca occorrono però centri specializzati, in grado di intercettare precocemente il ‘ladro dei ricordi’ e di gestire le nuove molecole. Ebbene, l’Unità di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Roma, diretta da Paolo Maria Rossini, è stata inserita nell’elenco dei Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD) della Regione Lazio.
Il centro assicurerà esami diagnostici e farmaci mirati per le varie forme di demenza, focalizzandosi sulla prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento innovativo, anche riabilitativo, delle diverse tipologie di decadimento cognitivo.
Questione di pelle
Ma torniamo, per un attimo, alla ricerca. “La pelle è il più grande organo recettoriale che possediamo, ricco di terminazioni nervose che inviano messaggi al nostro cervello – ha spiegato Arianna Di Stadio, neuroscienziata, docente all’Università di Catania e ricercatrice onoraria presso il Laboratorio di Neuroinfiammazione del UCL Queen Square Neurology di Londra – Il cervello e la pelle hanno molto in comune, innanzitutto hanno la stessa derivazione embrionale, ovvero nel momento dello sviluppo fetale pelle e cervello condividono la stessa origine. Dall’ectoderma derivano infatti sia il neuroectoderma, che dà origine al cervello, che l’ectoderma superficiale, da cui ha origine la pelle. Un legame che permarrà tutta la vita”.
Lo stress e l’ansia, condizioni che ad oggi sappiamo essere correlate alla neuroinfiammazione, sono in grado di scatenare delle reazioni cutanee, come ad esempio l’orticaria. Lo stress attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. L’ipotalamo attiva una serie di meccanismi ormonali con il rilascio di cortisolo ed altri ormoni che hanno dei recettori anche a livello della pelle. “La pelle stessa, in risposta allo stress, è in grado di produrre piccole quantità di questi ormoni, incrementando la risposta cutanea allo stress. Bisogna anche sottolineare che la pelle risponde, così come il cervello, ai neurotrasmettitori. La luminosità del viso, ad esempio, aumenta quando siamo felici, – ha evidenziato Di Stadio – perché aumentano dopamina e serotonina, i cosiddetti gli ormoni della felicità”.
Sulla base di queste connessioni sono stati effettuati degli studi per comprendere se la pelle potesse essere utile per diagnosticare malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Uno studio pubblicato nel 2023 sull’’International Journal of Molecular Science’ ha identificato dei parametri specifici nella pelle dei pazienti con l’Alzheimer che erano diversi dal gruppo sano di controllo. “L’acidità della pelle (pH), la vascolarizzazione e l’idratazione” sono emersi come elementi chiave. I ricercatori hanno usato dei farmaci specifici per l’Alzheimer e hanno visto che erano anche in grado di modificare i parametri della pelle stessa.
Gli studi
“Uno studio su campioni di pelle di oltre 300 persone, pubblicato su Jama, ha identificato la presenza dell’alfa-sinucleina, proteina presente in specifiche malattie neurodegenerative incluso l’Alzheimer, solamente nella pelle di coloro affetti da malattie neurodegenerative e non nel gruppo controllo sano, convalidando l’ipotesi – ha spiegato Di Stadio – che anche un esame istologico potrebbe confermare una diagnosi. Infine, uno studio pubblicato su Scientific Reports ha identificato dei marcatori precoci della neurodegenerazione in un gruppo di oltre 2000 persone solo analizzando con apparecchiature specifiche l’auto-fluorescenza della pelle. Questo parametro, indicativo dell’accumulo di prodotti di glicazione altamente infiammatori, era aumentato nei pazienti che a lungo termine hanno sviluppato l’Alzheimer. Tutti questi studi hanno valutato sia l’aspetto cognitivo che la pelle dei soggetti, quindi sebbene debbano considerarsi preliminari, sono assolutamente promettenti”.
“Se gli studi sulla pelle ci permettessero di intercettare la neuroinfiammazione – ha detto l’esperta – si potrebbero analizzare i parametri cutanei sotto forma di screening, così da poter trattare” Alzheimer e altre malattie neurodegenerative in anticipo. “Inoltre poter disporre di uno strumento di screening basato sull’analisi della pelle assume grande rilevanza in considerazione del fatto che oggi il medico ha a disposizioni molecole anti-neuroinfiammatorie efficaci e sicure, come la Pea ultramicronizzata, in grado di intervenire precocemente e sulla progressione delle patologie neurodegenerative”, ha detto Di Stadio.
Il Centro a Roma
Torniamo ora nella Capitale. Quello di Rossini è un nome noto nel settore, che ha lasciato il segno prima presso il centro Fatebenefratelli di Brescia, poi presso il Policlinico del Campus Bio-Medico, all’Università Cattolica e Policlinico Gemelli di Roma, quindi all’Irccs San Raffaele, culminati nell’attività di coordinamento di progetti nazionali come quello di Interceptor e di progetti europei come AI-MIND dedicati all’Alzheimer.
Un’esperienza che ha portato a validare “un modello organizzativo basato sull’integrazione di professionalità neuropsicologiche, bio-ingegneristiche, di neuroimmagini, di laboratorio e di genetica medica oltre che sulla messa a punto di tecniche innovative di stimolazione transcranica e sensoriale”, racconta lo specialista.
L’obiettivo è effettuare una diagnosi precoce quando i sintomi sono minimi e le autonomie del vivere quotidiano sostanzialmente conservate. “La Risonanza Magnetica 3 Tesla di ultimissima generazione esplorata con algoritmi di intelligenza artificiale, ad esempio consentirà di studiare con la massima accuratezza aree cerebrali potenzialmente coinvolte nelle fasi precoci della malattia ma che, per dimensione o localizzazione, sono più difficilmente esplorabili con tecniche convenzionali – dice il neurologo – Mentre l’EEG ad alta definizione (128 canali) permetterà di studiare i parametri di ‘connettività’ tramite i quali le varie popolazioni neuronali si scambiano informazioni nel corso delle principali attività cognitive. Le più avanzate tecniche di indagine neuropsicologica anche digitale permetteranno di esplorare i diversi domini attraverso i quali il cervello umano organizza e governa le funzioni cognitive (linguaggio, memoria, orientamento, emozioni etc.). Mentre le tecnologie di stimolazione transcranica non invasiva (magnetica, con ultrasuoni focalizzati e con onde d’urto) costituiranno un formidabile armamentario per riattivare e potenziare al massimo le funzioni dei circuiti nervosi non ancora distrutti dalla malattia”.
Il Centro garantirà la gestione e la cura delle demenze in tutte le fasi diagnostico/terapeutiche: dallo screening, alla diagnosi differenziale, al trattamento, fino alla gestione della malattia in fase più avanzata con l’ausilio della telemedicina, della teleriabilitazione e dell’assistenza domiciliare. In parallelo il team di Rossini proseguirà l’attività di ricerca per far luce sui misteri che ancora avvolgono la malattia di Alzheimer.