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Dispositivi medici: ecco la mappa delle imprese italiane

Adyen Articolo
Velasco25

Alla scoperta di un settore industriale del Made in Italy che occupa oltre 117mila persone e sviluppa un mercato da 18 mld di euro (export incluso), tra punti di forza e zone d’ombra.

Se guardiamo la mappa italiana delle imprese dei dispositivi medici, sono due gli aspetti che saltano all’occhio: la concentrazione e la distribuzione. Se infatti queste aziende sono presenti soprattutto in alcune aree del Paese, con il Nord – e la Lombardia – a farla da padrone, in ogni regione c’è almeno una di queste vivaci aziende vocate alla tecnologia e all’innovazione. Quello dei dispositivi medici è un settore industriale che – stando agli ultimi dati del Centro studi di Confindustria Dispositivi medici – conta 4.641 imprese che occupano 117.607 dipendenti e sviluppa un mercato di oltre 18 miliardi tra export e mercato interno. “Un tessuto produttivo dove le piccole imprese convivono con i grandi gruppi, ma è molto vivo anche il mondo delle startup, caratterizzate da forte profilo innovativo, occupazione estremamente qualificata e investimenti ingenti in ricerca e sviluppo. In Italia abbiamo poi una classe medica altamente qualificata con cui intraprendere un percorso di partnership scientifica, senza la quale non riusciremmo a sviluppare le nostre tecnologie”, racconta il presidente di Confindustria Dispositivi medici Nicola Barni. Tutto bene allora? Non proprio: se l’elefante nella stanza si chiama payback, “non possono essere taciuti i problemi di competitività e di mancanza di politiche per attrarre investimenti nel nostro Paese”, riflette il manager. Ma torniamo per un attimo alla mappa.

Una geografia articolata
Più del 60% delle aziende del settore ha la sua sede al Nord, ma in vari territori dello Stivale troviamo “aree produttive di eccellenza, dall’Emilia, alla Toscana, fino al Lazio. In Italia sono inoltre presenti numerosi parchi tecnologici in grado di attrarre investimenti anche da parte delle imprese italiane ed estere, per stimolare la sinergia tra mondo della ricerca, della scienza e della medicina per lo sviluppo di nuove tecnologie in partenariato tra pubblico e privato. Questo consentirebbe di valorizzare i parchi tecnologici e puntare sui progetti che qualifichino il nostro Paese a livello internazionale”. Barni descrive un “settore attivo e in salute che però – dice – sta attraversando difficoltà epocali, che rischiano di comprometterne la spinta alla crescita e all’innovazione nel nostro Paese”.

Tre insidie
Quando gli chiediamo di parlarci degli ostacoli maggiori per queste imprese, Barni non ha dubbi: “Il payback, la tassa dello 0,75% sul fatturato e il sistema regolatorio attuale – elenca – stanno creando una crisi che potrebbe diventare irreversibile. Le imprese dei dispositivi medici non possono farsi carico con il payback delle difficoltà che sta affrontando il nostro Servizio sanitario nazionale in termini di inadeguatezza di finanziamento. Per sopperire a una carenza di programmazione e gestione della spesa pubblica, si mette a rischio la sopravvivenza di un intero tessuto imprenditoriale indispensabile per la vita delle persone. Inoltre l’imprevedibilità dei costi e dei tempi di rilascio delle certificazioni europee sta causando l’abbandono da parte di molte imprese, soprattutto Pmi, del mercato europeo”.

In cerca di talenti
A queste imprese, oltretutto, occorre una forza lavoro altamente qualificata. “Per creare competenze e offrire opportunità ai nuovi talenti sarebbe necessario tornare a finanziare la ricerca nelle università, nei centri nazionali e negli Irccs”. Oggi il 45% degli occupati è donna, il 7,8% è addetto alla ricerca e il 2,7% ha in tasca un dottorato di ricerca (2,7%). “Crediamo fortemente che le sinergie tra istruzione, ricerca e industria possano stimolare l’innovazione delle tecnologie per la salute e dare all’Europa e all’Italia quell’impulso per diventare autonome dal punto di vista della produzione dei dispositivi medici”, afferma Barni.

Il vero potere dell’innovazione
L’Italia dei dispositivi medici chiede dunque alla politica di “agire per favorire il rilancio economico e industriale e consentire alle imprese di immettere sul mercato nuove tecnologie al servizio della salute. Bisogna favorire l’innovazione, lo sviluppo industriale e la crescita – argomenta Barni – anziché aggiungere ostacoli normativi per le imprese, altrimenti la fuga dall’Italia si farà sempre più concreta”. Non solo quella delle aziende. “Se il tessuto produttivo italiano si impoverisce e negli ospedali finiscono apparecchiature a basso livello di innovazione, anche la classe medica è destinata a espatriare alla ricerca di luoghi dove poter mettere a frutto competenze e know how”. Quando invece la sperimentazione dell’innovazione viene fatta in Italia, i pazienti “hanno un accesso privilegiato e veloce alle innovazioni tecnologiche” e a beneficiarne è l’intero Ssn. “Il nostro settore – rivendica il numero uno di Confindustria Dispositivi medici – contribuisce in modo determinante alla salute dei cittadini e all’economia del Paese. È urgente porre fine agli ostacoli, favorendo il tessuto produttivo la tutela della salute dei cittadini”.

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