La buona notizia è presto detta: il comandante generale della Guardia di Finanza, il generale Andrea De Gennaro, in audizione presso la commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, ha annunciato che la normativa interna alla GdF, relativa alla gestione delle banche dati, è stata recentemente aggiornata. Nel mese di ottobre, ha spiegato il gen. De Gennaro, “il Comando generale ha emanato una nuova circolare che, anche alla luce degli accadimenti, ha aggiornato e migliorato le procedure di controllo agli accessi a tutte le banche dati, in particolare quella tributaria, dove c’è il maggior numero di accessi”.
Del resto, soltanto negli ultimi mesi, gli italiani hanno appreso dell’esistenza di almeno quattro inchieste in corso, in varie parti d’Italia, per casi di spionaggio e trafugamento dati: la vicenda dei presunti dossieraggi che ha investito il finanziere Pasquale Striano e il magistrato della Dna Antonio Laudati; il bancario infedele in servizio a Bisceglie, poi licenziato, che avrebbe effettuato oltre 6mila accessi abusivi violando i conti correnti di migliaia di persone, inclusa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni; l’hacker siciliano Carmelo Miano che, dalla sua postazione nel quartiere romano della Garbatella, avrebbe violato il sistema informatico del ministero della Giustizia; la “banda degli spioni” al centro dell’inchiesta milanese sulla società “Equalize” e le sue ramificazioni.
Ora, queste sono le vicende note. Non si può escludere che ve ne siano di ignote. “E’ un tema di grandissima importanza, come dimostrano le cronache degli ultimi tempi – ha aggiunto, nel corso della medesima audizione, il comandante generale della GdF De Gennaro – Ci sono state, e verosimilmente ci potranno ancora essere, delle intrusioni dall’interno a causa di persone non esattamente affidabili che fanno accessi abusivi”.
In una democrazia liberale la privacy dei cittadini è un diritto fondamentale e inalienabile. Del resto, senza privacy siamo tutti ricattabili. Ogni dettaglio della nostra esistenza – le nostre condizioni di salute, la nostra situazione finanziaria, gli acquisti effettuati o i debiti contratti – può essere usato contro di noi. La cybersicurezza è l’altra faccia della privacy: senza la prima, la seconda non esiste. E la vicenda assume contorni inquietanti quando le più alte cariche dello Stato sono il bersaglio di queste azioni di spionaggio, con finalità potenzialmente destabilizzanti per gli assetti democratici.
Al di là dei singoli casi emersi, due fatti paiono incontrovertibili: abbiamo creato negli anni delle banche dati “monstre”, un accumulo di “big data” di proporzioni gigantesche; la nostra capacità di tutelare la riservatezza di questi dati si è mostrata fallibile. A parte il caso dei dipendenti infedeli, c’è una questione che riguarda il grado di vulnerabilità della nostra infrastruttura tecnologica. Colpiscono, in proposito, le parole di Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli, che qualche giorno fa, ospite di Lilli Gruber su La7, ha raccontato: “Io i dispositivi elettronici di ogni tipo me li compro da solo, non uso quelli in dotazione in Procura. Perché? I miei sono di qualità superiore”.
La cybersecurity è l’altra faccia della privacy. Un Paese che vuole essere attrattivo per le imprese deve dotarsi di un sistema a prova di bomba, perché solo nelle democrature la protezione dei dati non è una priorità dei governi. In un mondo “datificato”, dove ogni nostra azione è tradotta in informazioni digitali, se questi dati non sono protetti nella loro integrità, disponibilità e confidenzialità, anche le nostre azioni non lo sono. E possono esporci a un potere incontrollabile, al ricatto, alla persuasione commerciale, alla sorveglianza statuale. Per le imprese le minacce cyber possono comportare rischi di perdite finanziarie, danni reputazionali, ricatti informatici, spionaggio aziendale. Per tutte queste ragioni, l’annuncio del gen. De Gennaro fa tirare un sospiro di sollievo, della serie “finalmente”, ma non può darci la garanzia che un nuovo “caso Striano” non si affacci nuovamente nelle cronache. È uno scenario da prevenire, giocando d’anticipo.