La strada italiana alla ricerca di un bilanciamento. Parla Diego Ciulli di Google Italia.
Il rapporto tra innovazione, investimenti e regolamentazione si muove su un delicato equilibrio fortemente influenzato dall’approccio adottato dal decisore pubblico. Regolamentazioni eccessivamente rigide sono generalmente percepite come un ostacolo all’innovazione e agli investimenti; l’assenza di regole, d’altro canto non è una possibilità. È noto a tutti il famoso adagio sulla differenza tra USA, Europa e Cina in questo ambito, ma quale è l’orientamento dell’Italia? Ne abbiamo parlato con Diego Ciulli, Head of Government Affairs and Public Policy di Google Italia.
Durante la ComoLake Conference chiusasi qualche giorno fa, il sottosegretario all’Innovazione della presidenza del Consiglio Alessio Butti ha annunciato importanti investimenti in cavi sottomarini e un forte interessamento di Google. Quali sono i piani dell’azienda per l’Italia?
Valutiamo costantemente le opportunità per espandere le nostre infrastrutture. Uno dei nostri più importanti investimenti riguarda proprio i cavi sottomarini: stiamo completando la costruzione del sistema di cavi Blue and Raman che collega Genova a Israele e, attraverso un passaggio terrestre, arriva fino in India. Si tratta di un’iniziativa di grande rilevanza industriale e geopolitica, dorsale strategica a livello globale. Tale progetto costituisce, inoltre, un esempio significativo di collaborazione tra realtà internazionali e il sistema industriale italiano, essendo sviluppato in partnership con l’azienda italiana Sparkle. Per quanto riguarda gli investimenti infrastrutturali, Google ha recentemente inaugurato due cloud region in Italia, una a Milano e una a Torino. Attualmente, l’Italia è l’unico Paese a ospitarne due sul proprio territorio, garantendo così una infrastruttura digitale sicura e performante. Questa struttura distribuita consente di rispondere alle esigenze specifiche di vari settori che richiedono la localizzazione dei dati sul territorio italiano, come istituzioni finanziarie e alcuni ambiti della pubblica amministrazione. L’avere due regioni di data center significa anche garantire continuità in caso di emergenze, con un centro sempre pronto a supportare l’altro. È un investimento strategico per l’Italia, che non solo rafforza la sicurezza digitale, ma permette anche di mantenere i dati sensibili all’interno dei confini nazionali. Questo impegno si inserisce nel quadro di un programma di investimenti strategici in infrastrutture tecnologiche, che rafforza il ruolo dell’Italia nel panorama europeo e internazionale.
Questa attività non guarda solo alle istituzioni centrali, ma implica prestare attenzione agli stakeholder del territorio. In tale frangente so che voi state portando avanti il progetto AI per il Made in Italy. Cosa ci può dire a riguardo?
Questo progetto nasce dall’idea che l’Italia può essere protagonista nell’ambito dell’intelligenza artificiale (AI) globale puntando proprio sulla forza del Made in Italy. Ciò può avvenire costruendo alleanze strategiche tra il sistema Paese, e nello specifico le sue filiere, e le grandi piattaforme tecnologiche. Attualmente, l’AI si basa prevalentemente su modelli avanzati sviluppati da soggetti di primo piano come Google e altri, i cui modelli sono messi a disposizione per costruire applicazioni destinate a usi specifici. Un esempio emblematico è l’algoritmo di riconoscimento immagini di Google, integrato in Google Lens, che permette agli utenti di identificare piante o ricette tramite una semplice foto.
Ma la tecnologia che sta alla base di Lens e che permette alla macchina di capire cosa ha di fronte può essere applicata, per fare un esempio, in ambito agricolo per monitorare la maturazione dei pomodori o nel settore metalmeccanico per la manutenzione predittiva dei macchinari. Ma tali tecnologie generali richiedono adattamenti specifici per essere realmente efficaci all’interno di una filiera. Per addestrare una macchina a riconoscere un difetto in un prodotto, ad esempio, non è sufficiente un algoritmo di riconoscimento immagini: occorre una conoscenza approfondita della filiera stessa. In questo contesto si colloca la sinergia precedentemente citata tra uno dei principali Paesi manifatturieri al mondo e i modelli avanzati messi a disposizione dai maggiori attori tecnologici globali. Questa collaborazione, valorizzando e potenziando le eccellenze produttive italiane, può aiutare il nostro Paese tra i leader nello sviluppo di applicazioni di AI per la produzione industriale.
In tale direzione va anche lo stanziamento di un fondo di 15 mln di euro per l’intelligenza artificiale in Italia?
Assolutamente sì. Questo fondo è parte di un insieme di iniziative mirate all’inclusione lavorativa e alla diffusione dell’intelligenza artificiale nei settori economici. In particolare, destiniamo risorse per sostenere progetti locali e promuovere l’adozione di tecnologie innovative. Alcuni progetti hanno già avuto vincitori e stanno portando risultati concreti sul territorio.
Quando si parla di innovazione, non si può fare a meno di pensare al peso della regolamentazione. Recentemente si è tornato a parlare di Fair Share, il contributo richiesto alle Big Tech per l’utilizzo della rete…
Si tratta di un dibattito che riemerge ciclicamente da oltre dieci anni, e ormai numerose istituzioni e regolatori – dalla Commissione UE, al BEREC – hanno analizzato la questione e stabilito che non esista uno squilibrio di mercato da correggere. Se si guarda solo una piccola parte del sistema – nello specifico, l’ultimo miglio della rete – è evidente che il contributo delle telco è fondamentale. Tuttavia, è altrettanto importante considerare l’intera infrastruttura della rete globale, che include cavi sottomarini, data center, content delivery network. Queste infrastrutture, sono realizzate in larga parte da operatori come Google, e le stesse TELCO ne beneficiano. Basti considerare che, nel caso di Google, il 99% della strada che i dati devono percorrere da un data center fino all’utente è stata costruita da Google stessa. E poi, contribuiamo anche a sostenere i contenuti e i servizi online: milioni di persone si abbonano a Internet per accedere a servizi come Google Maps, il motore di ricerca, Gmail o contenuti musicali e video su YouTube. Ed è la pubblicità servita da Google a sostenere creativi digitali, musicisti, editoria. Insomma, il sistema oggi è in equilibrio, e ogni soggetto contribuisce nel proprio ruolo e con i propri investimenti. C’è il rischio di destabilizzare un ecosistema che funziona con efficacia grazie all’interconnessione delle sue parti.
Restiamo in tema di interventi normativi. Recentemente due emendamenti sul Piracy Shield hanno creato qualche problema alle piattaforme digitali in merito alle violazioni del diritto d’autore.
Desidero innanzitutto rimarcare il nostro impegno nel contrasto alla pirateria. E lo facciamo perché siamo partner dei titolari dei diritti e spesso li affianchiamo per monetizzare i propri contenuti. In Italia, ad esempio, la nostra piattaforma YouTube ospita il canale di contenuti di Lega Serie A. Il contrasto alla pirateria è, dunque, un obiettivo e un interesse anche nostro, che affrontiamo con la massima serietà. In particolare, grazie all’impiego di sistemi avanzati e alla collaborazione con i titolari dei diritti siamo in grado di deindicizzare rapidamente dal motore di ricerca i siti che contengono contenuti illegali. I titolari dei diritti a livello globale utilizzano i nostri sistemi con soddisfazione.
La soluzione italiana del cosiddetto Piracy Shield presenta caratteristiche peculiari rispetto agli strumenti adottati in altri Paesi europei e in questi mesi abbiamo posto il massimo impegno nel conformarci alle norme previste, mentre stiamo ancora analizzando le modifiche introdotte dal recente Decreto Omnibus.
So che avete calcolato l’effetto in quasi 10 miliardi di URL da denunciare. Eccesso di zelo?
Si tratta semplicemente del numero di segnalazioni per violazione del diritto d’autore che riceviamo. Stiamo appunto valutando l’impatto delle nuove norme. Resta un punto di buon senso: sono i titolari dei diritti ad essere nella migliore posizione per segnalare quelle violazioni del diritto d’autore che richiedono l’intervento delle autorità giudiziarie.
L’approccio a questo settore da parte delle istituzioni italiane è differente rispetto a quelle europee?
Il dialogo che abbiamo instaurato con le istituzioni a tutti i livelli, è positivo e proattivo. Il nostro Ceo global ha detto più volte, e tra i primi, che l’AI è troppo importante per non essere regolata. Negli ultimi anni, in Europa si è osservata una tendenza a regolamentare molti aspetti della rete. Ciò ha determinato che, oggi, operiamo in un contesto fortemente regolamentato. Talvolta siamo stati noi stessi a richiedere normative chiare; in altri casi, invece, ci siamo prontamente adattati. In Italia mi sembra emergere una certa consapevolezza dell’importanza di adottare norme che accelerino la capacità del nostro Paese di cogliere i benefici delle nuove tecnologie. La regolamentazione può essere uno strumento per sostenere la crescita di un ecosistema digitale equilibrato e ben funzionante.