Stanchi, provati e non più giovanissimi, anzi. I medici italiani sono sempre meno, ma sono anche i più anziani dell’Ue. A dircelo sono una serie di report resi noti alla vigilia dello sciopero nazionale proclamato dai sindacati dei camici bianchi per il 20 novembre.
Ma vediamoli meglio, questi numeri. Per il rapporto ‘Health at a Glance: Europe 2024’ dell‘Ocse, con una popolazione che invecchia, “la domanda di servizi sanitari in Italia continuerà a crescere” e “ad aggravare questa sfida”, c’è il fatto che “la forza lavoro medica italiana è la più anziana dell’Ue, con oltre la metà dei medici italiani di età pari o superiore a 55 anni e il 27% di età pari o superiore a 65 anni, la percentuale più alta dell’Unione”.
La gobba pensionistica
A preoccupare è l’impatto della ‘gobba pensionistica’. Un problema evidenziato ripetutamente dai sindacati e frutto, evidentemente, di una errata programmazione. In Italia si prevede che l’ondata di pensionamenti raggiungerà il picco nel 2025 e “si normalizzerà solo alla fine del decennio”, avvertono gli esperti Ocse.
Oggi il nostro Paese ha un numero di medici per popolazione simile alla media Ue – 4,2 per 1.000 abitanti – ma un numero di infermieri inferiore (6,5 contro 8,4 per 1.000 abitanti nell’Ue). Non solo. “Mentre l’Ue è alle prese con una carenza stimata di 1,2 milioni di operatori sanitari, l’Italia si trova in una posizione particolarmente precaria. E il pieno impatto” delle ‘contromisure’ adottate per tamponare le carenze del personale sanitario “non si farà sentire prima della fine del decennio”. Inoltre secondo l’Ocse “la carenza di personale nelle specialità meno attraenti, come la medicina d’urgenza e la medicina generale, è verosimile che persista anche dopo il 2030”.
Per alleviare la crisi del personale sanitario, ricorda il rapporto Ocse, il Governo ha temporaneamente sospeso l’età pensionabile obbligatoria di 70 anni per i medici del Ssn, ha aumentato il numero annuale di studenti ammessi alle Facoltà di Medicina di oltre il 10% tra il 2017 e il 2022 e ha più che raddoppiato il numero di posti di specializzazione con il sostegno dei fondi del Pnrr.
Intanto i medici di famiglia…
Anche sul territorio la situazione non è ideale, come evidenzia il Cnel nella Relazione annuale sui servizi della Pa. La dotazione di medici di medicina generale è di 68,1 per 100.000 abitanti, rispetto a 72,8 della Germania, 94,4 della Spagna e 96,6 della Francia. Negli ultimi 10 anni c’è stata un’emorragia di oltre 6 mila unità, con una forza lavoro scesa al di sotto dei 40 mila nel 2022, dato previsto in ulteriore peggioramento nei prossimi anni per via dei pensionamenti. Va considerato, infatti, che il 77% dei medici di famiglia ha più di 54 anni.
Una carenza che in questo caso riguarda soprattutto il Nord. La percentuale di medici con più di 1.500 assistiti (limite superiore fissato dalla normativa vigente) è passata dal 27,3% del 2012 al 47,7% di dieci anni dopo, con una forbice amplissima tra il 71% della Lombardia e il 22,4% della Sicilia.
La protesta dei medici in tre parole
“Risorse, riforme e formazione“: sono le tre parole che riassumono i motivi della protesta dei medici italiani, secondo Pierino Di Silverio, segretario Anaao Assomed, che insieme a Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed, e Antonio De Palma, presidente Nursing Up ha proclamato lo sciopero nazionale di mercoledì.
“Risorse, perchè – spiega a Fortune Italia Di Silverio – sia per il sistema di cure che per i professionisti i fondi non ci sono. Riforme, perchè siamo ingabbiati in un contratto che non ci riconosce in termini professionali, mentre in termini di organizzazione del lavoro quello che abbiamo firmato neanche viene applicato in periferia ed è insoddisfacente. E formazione per gli specializzandi di area medica e non medica che nel primo caso vengono pagati poco e male, mentre nel secondo non vengono neanche retribuiti. Resta poi la questione della sicurezza delle cure, che continua a non esserci, nè sotto il profilo delle aggressioni nè sotto quello della responsabilità professionale: la montagna ha partorito un topolino”.
Insomma, “non sono solo i finanziamenti insufficienti per la sanità a spingerci ad incrociare le braccia”, sottolineano in una nota congiuta i responsabili dei sindacati medici. “Nessuno vuole più lavorare sapendo di rischiare quotidianamente una denuncia, un insulto, un calcio o una manganellata. Nessuno è più disposto a rinunciare a ferie, riposi, malattie per garantire i servizi. Nessuno intende più lavorare in un’emergenza ormai cronica, la cui fine neanche si intravede”.