Sono i lavoratori di oggi e di domani, che scarseggiano anche a causa dell’inverno demografico. A colloquio con Lucia Aleotti sui nodi che ostacolano la crescita delle imprese (non solo pharma).
L’economia mondiale è in risalita, ma l’Europa è debole: il Pil dell’area Euro è aumentato del +3,9% rispetto al +10,7% degli Stati Uniti e al +22,8% della Cina. E l’Italia? Anche grazie a un “export stratosferico” tutto sommato “sta tenendo botta”. Parlare delle previsioni degli economisti di via dell’Astronomia con Lucia Aleotti, azionista e membro del Board Menarini, ora nelle vesti di vicepresidente di Confindustria con delega al Centro studi, fornisce un quadro interessante delle complessità che si trovano ad affrontare il Paese e la sua industria. Ma anche molto concreto, grazie a uno sguardo caratterizzato da una certa dose di “praticità”, come tiene a precisare l’imprenditrice nominata quest’anno Cavaliere del Lavoro dal Presidente Sergio Mattarella (nella foto). Con la presentazione del rapporto d’autunno del Csc, Aleotti debutta in un nuovo ruolo “molto impegnativo ma, per me che sono una curiosa, interessantissimo”.
Un lungo inverno demografico
Se il documento fin dal titolo è dedicato ai “nodi della competitività”, fra i diversi temi che balzano all’occhio c’è l’impatto sul lavoro del lungo inverno demografico italiano. “Dobbiamo pensare – riflette Aleotti – che la crisi delle nascite è iniziata oltre vent’anni fa: a mancare oggi sono i giovani adulti, ma il fenomeno si acuirà nel futuro, considerati i dati odierni. La difficoltà delle imprese di trovare lavoratori formati è davvero in rapida crescita e il mismatch tra domanda e offerta di lavoro potrebbe ampliarsi di 1,3 milioni di unità nel 2028”. Se prima della pandemia si registravano difficoltà di reperimento per il 26% delle assunzioni previste (1,2 milioni di lavoratori), “nel 2023 la quota ha superato il 45%, quasi 2,5 milioni di persone che non si trovano, o perché ci sono problemi a livello territoriale, o perché c’è carenza in assoluto. Se consideriamo l’andamento demografico e in prospettiva un aumento del Pil che è nelle previsioni del Centro studi, tra quattro anni questo numero potrebbe salire a 3,8 milioni”.

E se gli ultimi dati Istat non tranquillizzano – nel 2023 sono stati 379.890 i bebè venuti alla luce nella Penisola, 13mila in meno rispetto al 2022 – sulla base delle proiezioni demografiche dell’Istituto di statistica, il saldo naturale della popolazione residente dovrebbe ridursi di 1,5 milioni tra l’inizio di quest’anno e il 2028. Anche con un saldo migratorio positivo con l’estero stimato a 1,2 milioni, insomma, la popolazione in età lavorativa sarà ‘sotto’ di 850mila unità. A parità di tasso di occupazione, si legge nel report, l’offerta di lavoro tra 5 anni si ridurrà di 520mila unità. Una modesta crescita economica (del 4,9% cumulato nel 2024-2028) implicherebbe un fabbisogno di occupazione aggiuntiva di circa 815mila unità.
Come compensare questo gap? “Difficile risolvere con il solo aumento del tasso di occupazione degli inattivi di 3,7 punti percentuali. Un obiettivo molto sfidante da raggiungere in 5 anni – ragiona la vicepresidente – Ipotizzando di aumentare il tasso di occupazione di due punti (sull’arco di un quinquennio), mancherebbero ancora 610mila persone. Bisognerebbe ipotizzare ingressi di lavoratori stranieri, che possono essere comunitari o extracomunitari, ma formati e con conoscenza dell’italiano, per adattarsi alle esigenze delle imprese”. Parliamo, secondo le stime del Centro studi, di circa 120mila unità in più all’anno.
Alloggi introvabili
Quanto agli inattivi, “abbiamo in mente ragazzi che magari andrebbero indirizzati a professioni che possono dar loro un lavoro, ma anche donne. Qui torna il tema relativo allo studio delle materie Stem e alla formazione mirata, che deve consentire di aumentare la presenza femminile in settori altamente qualificati”.
Per restare sul pratico, Aleotti sottolinea anche “la difficoltà di trovare alloggi per le persone che accettano di spostarsi per lavoro. In alcune città i costi degli affitti sono diventati troppo elevati e frenano la mobilità dei lavoratori, esasperando le carenze di personale a livello territoriale”. Se il problema si manifesta in maniera particolarmente evidente in province come Milano, Como, Venezia, Bologna, Firenze e Roma, oltre che in generale nel Nord-Ovest e nel Centro Italia, misure di sostegno per i canoni di locazione e un piano volto a favorire la costruzione o riqualificazione di immobili a prezzi calmierati potrebbero aiutare a ridurre questi squilibri e accrescere la mobilità dei lavoratori.
Questione Pil
La crescita del Pil in Italia è attesa al +0,8% quest’anno e al +0,9% per l’anno prossimo. E il nostro Paese è quello che registra l’inflazione più bassa d’Europa (allo 0,7% annuo a settembre, 1,7% nell’Eurozona). In questo quadro l’Europa continua a crescere meno degli altri player, costretta a fare i conti con il crollo dell’automotive e le difficoltà della Germania. Inoltre la Cina non è più volano dell’export europeo e statunitense. Oltretutto le tensioni geopolitiche in aumento accrescono la possibilità di ripercussioni negative su commercio mondiale e sui prezzi delle materie prime.
E l’Italia? “Il Pil non galoppa ma cresce: questo ci viene riconosciuto anche dall’agenzia di rating Fitch, e sappiamo che le agenzie di rating di solito sono abbastanza avare nei confronti dell’Italia. Ma Fitch riconosce che l’economia italiana si trova il 5,5% al di sopra dei livelli pre-pandemia, superando il 3,9% medio dell’Eurozona. Inoltre riconosce che l’Italia ha ridotto il proprio debito di quasi 20 punti percentuali di Pil rispetto al picco del 2020 ed è tra i pochi Paesi europei ad aver riportato il rapporto debito/Pil ai livelli pre-Covid. Un altro elemento che ci caratterizza. È chiaro che su questo pesa la crescita del Pil, che è fondamentale per sostenere il benessere a livello di sistema Paese”.
Un export “stratosferico”
Per una donna del pharma la performance dell’export evidenziata dal Centro studi non è una sorpresa. L’export è il principale traino di crescita quest’anno. Nonostante la debole domanda europea (52% dell’export italiano) e tedesca (la Germania è il nostro principale partner commerciale), l’Italia continua ad andare meglio delle attese “e il Paese si mostra capace di far correre le sue eccellenze. La farmaceutica – rivendica Aleotti, indossando il ‘cappello’ di Farmindustria – è un grande traino e si sta confermando estremamente forte anche in questo 2024 in cui, dopo l’esplosione degli anni scorsi, si poteva immaginare un rallentamento”.
La Manovra
Nel 2023 il pharma tricolore ha totalizzato una produzione da 52 miliardi di euro e oltre 49 mld di export. “Eppure nella Manovra c’è una riduzione forzosa dei ricavi delle imprese, che vengono spostati a favore della distribuzione. Un esproprio, tanto grave nel merito quanto nel metodo, essendo stato inserito nottetempo. Le aziende farmaceutiche che producono in Italia sono schiacciate dall’aumento di costi di questi ultimi anni, che non hanno potuto minimamente recuperare sui prezzi di vendita dal momento che questi sono fissati dallo Stato: questa misura è quindi incredibile, oltre che inaccettabile e insostenibile, anche alla luce della forte spinta all’industria che vorrebbe dare questo Governo. Potrebbe essere stata una svista”, concede Aleotti. Una misura senz’altro indigesta, che Farmindustria ha subito chiesto di correggere.
Tornando alla performance del comparto industriale, va notata secondo la vicepresidente di Confindustria anche “l’elasticità delle imprese di dimensioni più piccole, capaci di adeguarsi a contesti globali che cambiano continuamente. Al di là poi del fatto che lo scorso trimestre abbiamo superato il Giappone in termini di esportazioni, un dato non è stato sottolineato: l’Italia ha la metà della popolazione del Giappone. Dunque questo risultato ci pone a livelli stratosferici in termini di export pro capite”.
Ets e rischi
Sul fronte delle politiche ambientali, con il sistema Ets (Emissions Trading System) sempre più stringente le imprese europee continuano a perdere competitività. E anzi, crescono i rischi che alcune di queste – che rappresentano il 9% del valore aggiunto manifatturiero in Italia come in Ue – chiudano o vengano trasferite fuori dall’Ue, prevede il rapporto. “Ma se una produzione si fa solo in un certo modo, mandarla via dall’Europa non risolve il problema dell’ambiente”, nota Aleotti, auspicando una “riflessione pragmatica” in seno alla nuova Commissione europea per rimodulare tempi e modi del green deal.
Cambiare mentalità
Cosa serve allora per dare fiducia alle imprese e futuro a un Paese in crisi di natalità? “Non amo essere semplicistica: la crisi della natalità riguarda un po’ tutti i Paesi sviluppati, anche quelli che hanno servizi per l’infanzia molto sviluppati. Non basta aumentare gli asili nidi, anche se questo può essere un elemento di supporto. Occorre anche un’immagine diversa, bisogna tornare a valorizzare il fatto di avere figli. Questo è emerso anche da uno degli approfondimenti che, come Fondazione Menarini, abbiamo realizzato con il Think thank On Radar: i grandi cambiamenti di trend sono anche cambiamenti di mentalità. Il fatto è che oggi il bambino viene visto come un ostacolo all’affermazione personale, anche nelle pubblicità ci è stato detto che non si mettono tanti bambini perché ‘non è cool’. Occorrerebbe lavorare su questo fenomeno complesso anche dal punto di vista culturale: perché i bambini – chiosa Aleotti – possono essere super cool”.