Il mutato contesto geopolitico richiede il ripensamento di un modello diplomatico ormai anacronistico.
Negli ultimi decenni, il mondo ha subito profondi cambiamenti. La crescita di nuovi attori ha messo in discussione le tradizionali solidarietà internazionali, ha creato nuove partnership multidimensionali ed ulteriori allineamenti.
La nuova presidenza americana dovrà subito confrontarsi con la coalizione anti-occidentale o, per meglio identificarla, con l’asse del male, cioè Cina, Russia, Iran e Corea del Nord, di cui è palese il disegno di ridefinire l’attuale ordine internazionale. Un dato che deve comunque essere chiaro: l’odierna realtà geopolitica non prevede più confini netti tra Nord e Sud e tra Ovest e Est. Cresce un Sud globale in contrapposizione al Nord globale, con le latitudini che si confondono con i meridiani e le longitudini con i paralleli.
Una situazione internazionale così in movimento è anche caratterizzata da un numero indefinito di crisi in più regioni del globo. Le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, a noi così vicine per tante ragioni, ne rappresentano purtroppo solo la massima manifestazione, ma non sottovalutiamo un aumento del 40% di conflitti (interni ed internazionali) dal 2020 ad oggi, che la governance mondiale dimostra di non essere in grado di gestire anche perché continua a non voler utilizzare adeguatamente lo strumento della diplomazia.
Questi aspetti sono collegati a un secondo fattore: la crisi dei modelli concepiti 79 anni fa per prevenire e gestire situazioni di crisi. E qui c’è un punto che tutti dobbiamo riconoscere: le organizzazioni internazionali agiscono solo in base a ciò che gli Stati membri decidono, e, più in particolare, i membri più influenti. Le Nazioni Unite costituiscono un foro essenziale di consultazione, ma il processo decisionale è tuttora di uno contro 193. Il realismo ha prevalso sull’iniziale uguaglianza e si è affermato il concetto di gruppi ristretti a ‘geometria variabile’. Fenomeno che non ha interessato solo l’Onu, ma anche altre organizzazioni come l’Unione europea e la Nato, che hanno affrontato processi di allargamento a volte troppo rapidi.
Il terzo elemento è la proliferazione di una moltitudine di nuovi consessi internazionali a base regionale o non, nati soprattutto dalla volontà di contare di più sul piano internazionale. Tra le ‘nuove’, ma ormai consolidate realtà, vi sono i Brics, inizialmente composti da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa e che da gennaio del 2024 hanno accolto Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran, con la Turchia alla porta.
A queste realtà se ne aggiungono altre di carattere regionale e globale, che devono però essere ben capite e soprattutto ben gestite, attraverso visioni politiche di lungo termine, da parte di una governance mondiale che non deve sottrarsi alle proprie responsabilità. Altrimenti avremo solo maggiore instabilità e più (dis) ordine.