Paola Severino – avvocato, presidente della Luiss School of Law e ministro della Giustizia nel governo Monti – analizza uno dei problemi atavici del nostro Paese: una giustizia troppo spesso farraginosa e poco efficiente. “Quando i tempi dei processi si allungano le imprese sono meno inclini a investire, perché temono contenziosi prolungati”.
Il costo per il Paese è enorme: secondo alcune stime, questa inefficienza vale fino a due punti percentuali di Pil.
In che modo la lentezza della giustizia incide sull’economia italiana?
La lentezza del sistema giudiziario ha un impatto diretto e significativo sull’economia di un Paese, in quanto mina la certezza del diritto e riduce la fiducia di cittadini e operatori economici nelle istituzioni. Quando i tempi della giustizia si allungano e le decisioni risultano spesso imprevedibili, le imprese sono meno inclini a investire, temendo contenziosi prolungati e l’aleatorietà dell’esito del giudizio. Ciò evidentemente ostacola la crescita economica. Inoltre, una giustizia lenta non tutela efficacemente i contratti e i rapporti commerciali, con la conseguenza che le aziende dovranno considerare anche i rischi di controversie legali irrisolte e i relativi costi. Secondo alcune stime, questa generale inefficienza può arrivare a incidere negativamente sul Pil fino a diversi punti percentuali (alcune analisi parlano di almeno il 2%), poiché rallenta l’attività economica e limita l’attrattività per gli investitori esteri.
Che impatto hanno per le aziende le misure cautelari e patrimoniali?
Innanzitutto, un impatto economico poiché, potendo queste misure incidere – sia pure temporaneamente – sui conti e sull’attività dell’impresa, ne influenzano la capacità operativa e la stabilità finanziaria. Inoltre, non possono ignorarsi i riflessi reputazionali, in quanto l’applicazione di un provvedimento cautelare può compromettere la fiducia di investitori e partner commerciali dell’azienda interessata, ben prima che i fatti siano definitivamente accertati. E questo può a sua volta ripercuotersi sull’andamento dell’attività, sulla possibilità di ottenere finanziamenti, o addirittura di interagire con la Pubblica amministrazione.
Può fare qualche esempio concreto di danni provocati dalla giustizia?
L’uso di misure cautelari, anche con riferimento a persone che non hanno mostrato alcuna intenzione di darsi alla fuga o di inquinare le prove, può generare danni irreparabili ben prima che vi sia una concreta possibilità per la difesa di contrastare le accuse e di arginarne l’enfatizzazione da parte della stampa. Solo nelle fasi successive il contraddittorio fra difesa e accusa si riequilibra e le garanzie del giusto processo si dispiegano completamente. D’altra parte, un sistema, come il nostro, che si articola su tre diverse fasi di giudizio, assicura che la condanna o la assoluzione di un imputato siano basate su solidi presupposti, sia pure con tempi che certamente contrastano con l’immediatezza dei danni che può produrre la prima fase delle indagini. Nella mia esperienza di avvocato, non ho mai visto un’ingiusta incolpazione iniziale portare, alla fine dei tre gradi di processo, a una condanna ingiusta, ma ho constatato che una misura cautelare applicata sottovalutandone i presupposti può produrre danni irreparabili.
Lei è anche presidente della Sna: quanto è importante la formazione dei dirigenti pubblici per una corretta attuazione del Pnrr?
Il futuro dell’Italia e delle nostre imprese dipenderà molto dalla pronta ed efficiente attuazione del Pnrr. Basti pensare che una delle specifiche missioni del piano è proprio quella di rilanciare la capacità del Paese di attrarre investimenti. In questo contesto, la formazione della dirigenza della Pubblica amministrazione è cruciale, rappresentando la precondizione per la corretta attuazione del Piano. Consapevole della delicatezza e complessità di un simile compito, la Sna sta già lavorando da tempo in questa direzione, formando i futuri dirigenti perché acquisiscano le competenze interdisciplinari indispensabili, dalla trasformazione digitale alla transizione energetica e ambientale, dalla semplificazione alla cybersicurezza.
Giorgia Meloni prima donna presidente del Consiglio: è un caso isolato o il sintomo di una svolta culturale?
Credo si tratti di un importante segnale di avanzamento in un lungo percorso di evoluzione culturale e sociale che, tuttavia, non è ancora giunto a compimento. Sono stati compiuti e si compiono ogni giorno passi in avanti verso il raggiungimento di una piena parità di genere. Penso, ad esempio, alla diffusa consapevolezza del problema e alle cosiddette quote rosa nei Consigli di amministrazione, ma i dati continuano a evidenziare il gap salariale tra uomini e donne, nonché la difficoltà, ai livelli più alti, di rompere il famoso “soffitto di cristallo”. Ancora molto, quindi, resta da fare se è vero che, secondo l’ultimo Global gender gap report, datato luglio 2024, l’Italia – su 146 Paesi presi in esame – è risultata 87esima, perdendo otto posizioni rispetto al 2023.
Lei mette insieme due parole che in Italia non vanno troppo spesso d’accordo: donne e potere.
Le donne incontrano maggiori difficoltà nel superare le posizioni del cosiddetto middle management per assumere ruoli apicali. E questo è dovuto, tristemente, a retaggi del passato, come l’idea che certi incarichi possano essere meglio ricoperti da un uomo, oppure che la maternità possa rappresentare un pregiudizio per la carriera. Mi è capitato più volte di indicare i nominativi di donne meritevoli rispondendo alla richiesta di possibili candidate per alcuni Cda e la disarmante risposta è stata “hai ragione, non ci avevo pensato”.
Crede che quella italiana sia ancora una società maschilista?
Esistono sicuramente alcuni contesti nei quali il processo di riconoscimento della parità di genere si colloca ormai a uno stadio avanzato; altri, invece, nei quali la strada da compiere è ancora molta. Da docente universitaria dico che occorre intraprendere iniziative di formazione volte ad insegnare alle nuove generazioni il rispetto della parità di genere, indirizzandole verso una diffusione e stabilizzazione del cambiamento.