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Infratech, la rivoluzione necessaria per migliorare le infrastrutture

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Velasco25 Articolo

La tecnologia blockchain al servizio di un nuovo modello per la gestione delle infrastrutture di trasporto.

Le infrastrutture di trasporto sono il “sistema circolatorio” di un Paese. Strade, ferrovie, porti e aeroporti connettono persone, merci e idee, sostenendo l’economia e la vita quotidiana. Tuttavia, il nostro sistema infrastrutturale mostra segni di cedimento e le statistiche lo confermano: l’Italia investe solo l’1,2% del Pil nelle infrastrutture di trasporto, mentre Paesi come la Germania superano il 2,5%. Il 50% delle nostre autostrade ha più di 40 anni e richiede urgenti interventi di manutenzione. Solo il 13% delle merci viaggia su rotaia, ben lontano dall’obiettivo del 30% fissato dall’Unione europea. I nostri aeroporti regionali operano al 30% della loro capacità, mentre i porti italiani gestiscono appena il 20% delle merci destinate all’Europa. Per non parlare delle ‘infinite’ coste italiane che spesso non hanno la volontà politica di accogliere tutti coloro che volentieri destinerebbero un ampio budget per ancorare le proprie imbarcazioni, guidati dai profumi del nostro Paese che troppo spesso perde la propria identità e centralità in un’Europa conflittuale e arroccata.

La nuova parola d’ordine deve essere Infratech (non che il Fintech sia passato di moda, ma qui c’è in ballo qualcosa di più), ossia la tecnologia applicata a questo enorme mondo “sommerso”. E questa parola diviene incredibilmente efficace se si coniuga l’efficacia del pubblico-privato (Ppp) con tecnologie innovative come la tokenizzazione,

che potrebbe sembrare un termine tecnico, ma è un concetto affascinante. In pratica, permette di suddividere un’infrastruttura – una strada, una ferrovia o un porto – in ‘quote digitali’ certificate tramite la tecnologia blockchain. Queste quote possono essere acquistate e scambiate, permettendo agli investitori, grandi e piccoli, di ‘partecipare’ alla gestione delle infrastrutture, monitorando i risultati economici e, soprattutto, le performance energetiche. Non è solo un modo per attrarre capitali privati, ma per garantire che i progetti siano trasparenti ed efficienti: posseduti da coloro che li utilizzano. Gli italiani non contrarranno più debito pubblico che servirà per la realizzazione delle infrastrutture, possiederanno le infrastrutture medesime.

L’innovazione non si fermerebbe alla gestione economica, ma si estenderebbe alla sostenibilità ambientale: tutte le nuove opere dovranno essere progettate secondo criteri net-zero (incluso il nuovo nucleare, magari tecnicamente fuori dai confini nazionali).

In questo scenario, l’Italia potrebbe ritrovare il suo ruolo di leader nel trasporto e nella logistica del Mediterraneo. Serve una visione chiara, ambiziosa, ‘spaziale’, ossia che non limiti l’orizzonte a ciò che è visibile, bensì che immagini un’economia partecipativa e, per certi versi, patriottica.

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