Intervista a Francesco La Camera, direttore generale dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili. L’obiettivo di restare sotto un grado e mezzo di riscaldamento globale è ancora vivo, ma le prossime Cop saranno le ultime utili per raggiungerlo.
Di Cop in Cop, la verità è sempre la stessa: per la transizione energetica non facciamo abbastanza. Le rinnovabili avanzano e costano sempre meno (i dati 2023 sono senza precedenti) ma non investiamo a sufficienza in vista degli obiettivi climatici al 2030. I piani di ogni nazione al momento porteranno a raggiungere solo metà della crescita necessaria al 2030. Allo stato attuale, non riusciremo a triplicare le energie rinnovabili entro i prossimi 6 anni, come stabilito nella Cop28, la conferenza ONU sul cambiamento climatico di Dubai tenutasi nel 2023. Un anno dopo, l’attenzione si sposta sulla Cop29, quella di novembre in Azerbaigian, e bisogna fare bene i conti: i 570 mld di dollari spesi per le rinnovabili nel 2023 devono passare a 1.500 mld di dollari all’anno tra il 2024 e il 2030. Dati firmati IRENA, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili con sede ad Abu Dhabi, guidata dal Dg Francesco La Camera.
IRENA è stata scelta per tracciare i progressi su due degli obiettivi fondamentali stabiliti durante la Cop28: rinnovabili ed efficienza energetica. Come sintetizza il vostro primo report?
I dati sono preoccupanti dal punto di vista degli investimenti, buoni dal punto di vista del calo dei costi. Le rinnovabili sono ormai la più economica delle fonti energetiche (nel 2023 i costi globali del fotovoltaico sono stati del 56% inferiori rispetto alle opzioni dei combustibili fossili e del nucleare, ndr). Il problema è costituito dalla mancanza di infrastrutture per un sistema decentralizzato basato sulle rinnovabili. Servono sistemi integrati e interconnessi che siano flessibili, bilanciati per far viaggiare sia gli elettroni che le molecole. Il mercato è ancora fortemente disegnato per i combustibili fossili, che godono ancora di sussidi. Abbiamo bisogno di un mercato basato sui contratti a lungo termine, cioè più favorevoli alle rinnovabili, piuttosto che l’attuale mercato basato sostanzialmente sul prezzo che si negozia giornalmente. In più la forza lavoro non è stata ancora formata e le professionalità non sono quelle che occorrono per il nuovo sistema. I sistemi decentralizzati sono più efficaci, assicurano maggiore sicurezza energetica ma devono essere gestiti. Quindi occorre avere delle amministrazioni che siano capaci e che le professionalità sia adeguate.
C’è qualcuno che fa meglio di altri, dal punto di vista geografico? Ci sono esempi positivi, anche in Italia?
No, il ritardo, in misura diversa, appartiene a tutti. Per l’Italia vale lo stesso discorso: servono ancora reti che siano più interconnesse, che siano flessibili, che siano bilanciabili.
Le rinnovabili ultimamente stanno soffrendo di un ritorno dei pregiudizi superati anni fa? Mancanza di affidabilità e marginalità rispetto al mix energetico sono temi che ciclicamente tornano nel dibattito, soprattutto in quello relativo al nucleare.
Non direi, di fronte alla crescita esponenziale delle rinnovabili il problema è avere reti che assorbono tutta l’energia prodotta, ma in termini assoluti le rinnovabili hanno una reputazione migliore rispetto a cinque anni fa. C’è chi pensa ancora ad altre tecnologie, sbagliando: le rinnovabili sono l’unica tecnologia che può dare risultati in tempo utile. Mi riferisco al tempo utile così come indicato dall’Ipcc, l’International Panel on Climate Change, che dice di ridurre del 43% le emissioni al 2030 e del 60% 5 anni dopo. L’unica tecnologia che può essere dispiegata così rapidamente e raggiungere la scala necessaria sono le rinnovabili.
Quando dice altre tecnologie si riferisce anche al nucleare? Sull’atomo stanno puntando con decisione in tanti, a partire dall’Italia.
Non è utile alla lotta al cambiamento climatico che deve essere affrontata oggi per dare risultati immediati in 5 anni: iniziando gli iter per gli impianti oggi potremmo vederli in funzione solo tra 10-15 anni, e poi non sono economici. I Paesi possono naturalmente investire nel nucleare, magari anche per motivi geopolitici. Ma oggi come oggi il nucleare è molto meno conveniente delle rinnovabili.
Non va dimenticato che per alcune tecnologie, come l’intelligenza artificiale, servirà una quantità di energia enorme. Non è un caso che anche le Big Tech stiano stringendo accordi sul nucleare.
Ma non si potrà sopperire da subito alle esigenze energetiche, considerando i tempi dei reattori. Puntando su rinnovabili e stoccaggio si è pronti in meno di due anni.
Un altro ingrediente del mix energetico è l’idrogeno.
Ci vuole il suo tempo, ma diventerà competitivo. Lo è già per alcuni mercati, lo diventerà sempre di più. Il problema è che non c’è ancora una domanda sufficientemente sviluppata per l’idrogeno stesso. Bisognerebbe aiutarla, come si è fatto con le rinnovabili dieci anni fa, bisognerebbe dare incentivi a chi si muove verso l’idrogeno verde. Non potrebbe che portare a risultati concreti nel giro di qualche anno, e sarebbe un investimento e una scelta intelligente.
Ad oggi c’è qualche esempio da seguire?
Non nella misura necessaria alla transizione.
Cosa si aspetta dalla Cop29 a Baku
È una Cop importante. Va definito il nuovo ammontare economico che i Paesi sviluppati si impegnano a trasferire ai Paesi in via di sviluppo (il New Collective Quantified Goal per aggiornare l’obiettivo dei 100 mld l’anno, ndr). E poi nei prossimi mesi bisogna presentare i nuovi impegni dei Paesi membri, gli NDCs. Uno strumento per alzare l’ambizione, in linea con gli obiettivi di Parigi.
Quanto è importante che partecipino attori finanziari privati ad appuntamenti come questo?
Senza i privati non si fa nulla. I bilanci pubblici non bastano: lo sforzo finanziario è enorme e se non intervengono anche i privati con i loro investimenti, diventa impossibile. Chiaramente i privati non fanno parte del negoziato, però è sempre bene che ci siano per capire quali siano le necessità della transizione, per scambiarsi esperienze e lavorare insieme.
Qual è il ruolo dei Paesi in via di sviluppo nella transizione? Oltre ad essere uno dei focus principali per IRENA, il tema negli ultimi anni tocca anche le scelte italiane, se guardiamo al Piano Mattei in Africa. Intanto però gli investimenti in energia rinnovabile in Africa sono diminuiti del 47% tra il 2022 e il 2023 e l’Africa sub-sahariana ha ricevuto 40 volte meno della media mondiale degli investimenti pro capite legati alla transizione.
I Paesi in via di sviluppo e quelli emergenti sono una chiave fondamentale, perché sono quelli con le domande energetiche più in aumento nei prossimi anni: se non intercettiamo quella domanda, non conterremo mai le emissioni. Tra le iniziative più importanti di IRENA c’è l’APRA (Accelerated Partnership for Renewables in Africa), una partnership per portare la capacità rinnovabile del continente a 300 GW entro il 2030, e l’ETAF (Energy Transition Accelerator Financing Platform) per il finanziamento dei progetti di rinnovabili. Lanceremo un forum per il centro Asia a Baku come abbiamo già fatto per l’Africa. Ci piacerebbe collaborare con l’Italia sfruttando la nostra piattaforma finanziaria. Le iniziative che abbiamo in Africa possono essere uno strumento per l’attuazione del Piano Mattei o possono comunque contribuire al raggiungimento dei suoi obiettivi. È una discussione in corso.
I numeri che abbiamo raggiunto sulle rinnovabili nel 2023 non sono abbastanza, ma sono da record.
Se li aspettava?
La verità è che i numeri sono buoni ogni anno. Sono stati installati 483 gigawatt di rinnovabili, più del nucleare installato in 70 anni. Sono numeri straordinari, ma abbiamo sempre poco tempo a disposizione, questo è il problema. Se avessimo cominciato 10 anni fa sarebbe stato tutto più semplice.
Per le rinnovabili c’è un problema di materie prime?
No, se si fanno le scelte giuste. Nel nostro rapporto sulla geopolitica dei minerali è espresso chiaramente che occorre mettere in piedi le politiche giuste. Inoltre le terre rare sono altamente riciclabili. Se si imposta tutto sul riciclo, il sistema regge. La questione sicuramente esiste. Se c’è un Paese – la Cina – che concentra tutta la catena del valore delle innovabili, c’e’ un problema di dipendenza. L’Africa, il Sud Est asiatico, il Sud America in questo senso possono essere luoghi perfetti per investire, anche per diminuire i rischi di una concentrazione elevata dell’offerta. Secondo molti la soglia degli 1,5 gradi di innalzamento delle temperature da non superare, come indicato dall’Ipcc, è ormai irrealistica. Non accettiamo nessun obiettivo diverso. È sempre più difficile, ma è ancora raggiungibile.
Ci sono parole chiave da tenere a mente?
Impegno finanziario e linee guida precise relative ai national commitment di ogni Paese. Ogni cinque anni questi impegni devono essere rinnovati, il Global StockTake della Cop28 ha dimostrato che purtroppo non siamo in linea con gli obiettivi. Ora dobbiamo correggere la rotta. Il messaggio fondamentale è che abbiamo ancora una volta l’occasione di farlo. Le prossime due Cop sono le ultime in cui l’obiettivo potrà ancora essere quello di restare sotto gli 1,5 gradi di riscaldamento. Il cambiamento climatico non concede sconti: non puoi fare domani quello che non fai oggi.