Il tempo fugge, ma il confronto sulla Manovra può essere il momento giusto per risolvere la ‘questione dispositivi medici‘. Ne sono convinti specialisti, pazienti e imprese del settore, che hanno preso carta e penna siglando un appello rivolto alla premier Giorgia Meloni.
A minacciare il comparto dei dispositivi medici in Italia è il payback, una spada di Damocle che rischia di innescare una “crisi irreversibile del comparto”, con gravi conseguenze anche sulle forniture al servizio sanitario nazionale e sull’accesso alle cure da parte dei pazienti.
L’insidia payback ‘pesa’ sul futuro di 4.641 aziende produttrici disseminate nella Penisola, un settore che in Italia dà lavoro a oltre 117.600 dipendenti, con un mercato da 18,3 mld di euro.
Un passo indietro
Ne abbiamo parlato più volte: la situazione è precipitata nel luglio scorso quando, con due sentenze (n. 139 e n. 140), la Corte costituzionale si è pronunciata sul payback, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, quanto al periodo 2015-2018. E gelando così le aziende produttrici di dispositivi medici.
La lettera
Proteste e appelli finora non sono serviti, ma in questi mesi il settore si è unito. E stavolta ha chiesto aiuto a pazienti e medici, per i quali avere a disposizione dispositivi medici non obsoleti fa la differenza. Nella lettera indirizzata alla premier 17 associazioni chiedono un intervento, già nel corso della sessione di bilancio appena avviata, per bloccare il meccanismo del payback e salvare questo settore del Made in Italy.
I firmatari
A firmare l’appello sul payback sono: Aforp; Confapi salute università ricerca; Confimi industria sanità; Confindustria dispositivi medici; Coordinamento filiera; Fifo Confcommercio; Pmi Sanità. Aderiscono ACOI-Associazione chirurghi ospedalieri italiani; Aistom-Associazione italiana stomizzati; APS-Associazione pugliese stomizzati; AMCLI-Associazione microbiologi clinici italiani; FAIS-Federazione associazioni incontinenti e stomizzati; FAVO-Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia; Fincoop-Federazione italiana incontinenti e disfunzioni del pavimento pelvico; Fismelab-Federazione delle società scientifiche italiane di medicina di laboratorio; SIAARTI-Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva; Sibioc-Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia.
I rischi
Se non si farà nulla, “gli effetti sulla filiera della salute, all’interno degli ospedali e sull’intero servizio sanitario pubblico – avvertono i firmatari della missiva – sarebbero disastrosi: la crisi e il blocco delle catene di produzione e distribuzione significherebbero una minore disponibilità di dispositivi medici all’interno degli ospedali, un limitato livello di innovatività nei device a disposizione dei medici con impatto immediato sulla qualità del lavoro dei medici in corsia e nelle sale operatorie, sulla capacità di diagnostica preventiva, sulla quantità di percorsi formativi per i clinici”.
Anche perchè “il venire meno una pedina delle tre fondamentali sulla scacchiera del diritto alla salute (istituzioni, imprese, personale medico e sanitario), significherebbe – scrivono le associazioni – colpire pesantemente il Servizio sanitario nazionale a scapito delle persone più deboli o che non possono permettersi cure private”. Insomma, l’effetto a cascata potrebbe essere devastante, non solo per le imprese.