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AI contro medici: l’impatto di ChatGPT sulla diagnosi

AI medici
Adyen Articolo
Velasco25

Mentre la sanità pubblica italiana si prepara alla trasformazione digitale, una nuova ricerca mostra le tante promesse, ma anche le criticità, dell’impiego di GPT-4 per le decisioni mediche. A fare la differenza non è solo l’AI, ma anche il modo di utilizzarla. Tanto che l’intelligenza artificiale ‘da sola’ raggiunge risultati migliori rispetto a quando a impiegarla è un camice bianco.

Una nuova ‘gara’

In questi anni diverse ricerche hanno messo alla prova l’intelligenza artificiale e i medici in carne e ossa. Questo ultimo studio, pubblicato su ‘Jama Network Open’, è firmato da un team di ricercatori della University of Minnesota Medical School, della Stanford University, del Beth Israel Deaconess Medical Center e della University of Virginia. E i risultati danno da pensare. I ricercatori hanno cercato di capire quanto bene i medici utilizzassero GPT-4 a scopo diagnostico. I ricercatori si sono chiesti se davvero questa soluzione tech fosse un aiuto in più. 

La ricerca

Lo studio è stato condotto coinvolgendo 50 medici di medicina generale, medicina interna e medicina d’urgenza americani. Mettendoli alla prova, gli scienziati hanno scoperto che la disponibilità di GPT-4 come ausilio diagnostico non ha migliorato significativamente il ragionamento clinico rispetto alle sola presenza di risorse convenzionali.

Addirittura, l‘AI da sola ha ottenuto punteggi significativamente migliori nelle prestazioni diagnostiche, superando quelle dei medici che utilizzano strumenti convenzionali online e dei colleghi assistiti da GPT-4. Inoltre non si è verificato alcun miglioramento significativo nelle prestazioni diagnostiche con l’aggiunta di GPT-4 rispetto ai medici che utilizzavano risorse diagnostiche convenzionali.

“Il campo dell’AI si sta espandendo rapidamente e sta influenzando le nostre vite, anche al di fuori della medicina. È importante che studiamo questi strumenti e comprendiamo come utilizzarli al meglio per migliorare l’assistenza che forniamo” alle persone, ha affermato Andrew Olson, professore dell’University of Minnesota Medical School e medico ospedaliero presso M Health Fairview. Guardando il bicchiere mezzo pieno,  “questo studio suggerisce che ci sono opportunità per un ulteriore miglioramento nella collaborazione medico-AI nella pratica clinica”, conclude l’autore.

Una relazione complessa

I risultati sottolineano anche tutta la complessità dell’integrazione dell’AI nella pratica clinica. Mentre GPT-4 da solo ha mostrato risultati promettenti, l’uso di questo strumento come ausilio diagnostico per i medici non ha superato in modo significativo le risorse convenzionali. Insomma, ci sono ancora molte cose da capire, anche su come preparare i medici a utilizzare al meglio questi strumenti.

Intanto in Italia…

Ma cosa sta accadendo su questo fronte in Italia? Al Congresso Nazionale della Società Italiana d’Igiene (SItI) gli esperti hanno sottolineano il gap infrastrutturale da colmare dal punto di vista della digitalizzazione dei sistemi informativi e dei dati sanitari. Anche secon i fondi del Pnrr, si stanno facendo grandi passi avanti grazie a diversi progetti in corso.

“Nell’ambito della Digital Health Prevention stanno sorgendo – ha detto Walter Mazzucco, Ordinario di Igiene Università di Palermo e Segretario Generale SItI – una serie di iniziative che stanno portando alla nascita di centri di performance computing, che potranno federarsi al Supercomputer di Leonardo, in grado di far fare un salto innovativo di qualità nell’ambito della sanità pubblica.”

“Questi interventi consentiranno, entro il 2026, non soltanto di raccogliere grandi moli di dati, ma anche di creare delle reti che potranno restituire in maniera capillare l’esito di queste analisi sia sotto forma di interventi di prevenzione mirati su specifici target della popolazione”.

Lavori in corso

A fare il punto sui lavori in corso è stata Stefania Boccia, professoressa di Igiene pressol’ Università Cattolica di Roma. “All’interno del progetto finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca “Digital Long Life Prevention – DARE”, l’idea è quella di sfruttare al massimo la raccolta dei dati sia da parte dei cittadini sani che di pazienti al fine di identificare quelli che sono i bisogni maggiori della popolazione su cui intervenire per migliorare il relativo stato di salute. All’interno del progetto DARE vi sono inoltre vari progetti “pilota” che stanno sperimentando alcune potenzialità dell’uso di App per monitorare a distanza pazienti con morbo di Parkinson e dei loro caregiver. Altre applicazioni – ha detto Boccia – permettono di verificare l’idoneità di un’abitazione al momento della dimissione di un paziente fragile per mappare i rischi cadute, velocizzando così i tempi di dimissione”.

Prevenzione in primo piano

Gli strumenti digitali offrono un’utilità pratica e quotidiana, raccogliendo dati e fornendo feedback non solo alle persone sane, ma anche al malato. “Vi sono diversi progetti pilota che si realizzano all’interno del Policlinico Gemelli dell’Università Cattolica di Roma supportati dal finanziamento di DARE – ha ricordato poi Boccia – Uno di questi usa algoritmi predittivi di rischio di malattia cardiovascolare in persone sane, basati sulla conoscenza delle varianti genetiche comuni ereditate da ciascun individuo. Per ora si tratta di un uso limitato alla ricerca, ma l’ambizione è che i soggetti con un rischio particolarmente elevato possano motivarsi maggiormente a migliorare i propri stili di vita”. Insomma, l’AI può diventare davvero un’alleata sulla via della prevenzione.

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