“Mi stupisce molto quello che è accaduto alla proizione del film ‘Il ragazzo dai pantaloni rosa’, che io non ho visto. Ma ho letto la storia di Andrea e devo dire che stanno aumentando i casi di suicidio legato al bullismo“. Parola della psicologa Antonella Elena Rossi, che interviene con Fortune Italia dopo i recenti episodi che hanno visto al centro il film tratto dal romanzo autobiografico di Teresa Manes, madre di Andrea Spezzacatena, uno studente 15enne del liceo Cavour di Roma bullizzato dai compagni perché i suoi pantaloni rossi, per un errore di lavaggio, erano diventati rosa, che si è tolto la vita nel 2012.
Alla presentazioni della pellicola davanti ad una platea di adolescenti, alcuni ragazzi si sono lasciati andare a commenti omofobici. A Treviso, invece, i genitori di una scuola mediasi sono opposti alla proiezione, sostenendo che potesse avere influssi “negativi” sui loro figli. La proiezione è stata rinviata, ma come leggere queste vicende? Per Antonella Elena Rossi è importante partire dai numeri del bullismo in Italia e dai dati sulle reazioni delle vittime. Tenendo presente l’impatto dell’aggressività dilagante e dell’esempio degli adulti, anche sui social, che ‘spiana’ la via al bullismo dei giovanissimi.
I numeri
“La prima statistica mondiale dei casi di bullismo, realizzata in collaborazione con la Ong Bullismo senza frontiere – ricorda a Fortune Italia Antonella Elena Rossi – ci dice che l’Italia è uno dei Paesi con il maggior numero di casi di bullismo al mondo, con un totale 32.600 casi (dato 2022-23). Questi dati ci dicono che dobbiamo preoccuparci, ma anche intervenire in modo efficace. Non siamo preparati e questo fenomeno, che inizia con comportamenti aggressivi a livello verbale e poi sfocia nell’aggressività fisica, resta ancora nel sottobosco, perchè non abbiamo messo in atto gli strumenti per contrastarlo. Ma anche perchè la giovanissima vittima di bullismo non ne parla: secondo una statistica il 21% pensa che non serva a nulla farlo, il 6% non lo fa proprio per le minacce dei bulli, il 24% dice di essersi fatto giustica da solo e il 30% si vergogna: questo è terribile, perchè la stessa vittima si vergogna”. E tace, subendo.
La responsabilità dei social
Secondo la psicologa una “grande responsabilità ce l’hanno i social: la forma più subdola di bullismo è il cyberbullismo; pensate che il 39% passa su Instagram, il 20% su Facebook, il 19% su WhatsApp, il 10% su YouTube, il 9% su Telegram e il 3% su Snapchat. La cosa peggiore è l’adescamento, ma anche truffe, richieste di pronografia e cyberbullismo. Quando le vittime riescono a confessare di aver subito questi episodi, lo fanno con genitori ed insegnanti, molto meno con i coetanei. E questo dovrebbe farci riflettere e dobbiamo capire perchè questi ragazzi non si confidano e si sentano non protetti dalle istituzioni. Dobbiamo iniziare a pensare a cosa possiamo fare”.
L’aggressività degli adulti
Tornando alla pellicola contestata, “mi dispiace che ci sia stata una derisione durante la proiezione del film, perchè vuol dire che questi ragazzi non hanno la cultura della tolleranza e della sensibilità – dice Rossi – Tutto ciò deve far interrogare la comunità degli adulti: costa stiamo seminando? Si deride un ragazzo, o un film sulla sua storia, quando si ha paura di qualcosa. Noi adulti ci dobbiamo interrogare e non limitarci a pensare che solo la scuola o la famiglia debbano occuparsi di questi temi. Siamo tutti coinvolti: il vicino di casa, il passante che vede un ragazzo insultato. Ma devo anche dire che il primo esempio arriva da noi adulti, che ci ergiamo a giudici quando giudici non siamo. Se gli adulti sono così aggressivi nella vita di tutti i giorni, come possiamo pensare che non lo siano anche i ragazzi, o che non siano impauriti dall’aggressività fino a non reagire? Basta guardare i social per capire quanta aggressività da parte degli adulti circondi i ragazzi”.
Cosa fare
La soluzione? “Finanziamenti mirati per mettere a regime nella scuola uno psicologo, un pedagogista, una equipe preparata, che aiuti insegnanti e genitori a non avere comportamenti scorretti, che favoriscono determinati atteggiamenti fra i ragazzi. È l’esempio che noi adulti per primi dobbiamo dare”, conclude la psicologa. Un esempio che deve essere accompagnato dalla capacità di ascolto e dall’autorevolezza, perchè le vittime di bullismo trovino il coraggio di fare il primo passo: chiedere aiuto.