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Natalità in picchiata: gli ultimi dati italiani (e le proposte per invertire la rotta)

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Velasco25 Articolo

Non si tratta di una novità, ma quelli diffusi dall’Istat sulla natalità in Italia sono numeri che fanno rumore. Nel 2023 sono stati 379.890 i bebè venuti alla luce nella Penisola, 13mila in meno rispetto al 2022 (-3,4%). E se nemmeno il 2022 aveva mantenuto le ‘promesse’ di recupero post-pandemia (con 393.333 nati, per la prima volta sotto la soglia psicologica di 400mila bimbi), il fenomeno delle culle vuote prosegue anche nel 2024.

Meno figli, l’impatto sul lavoro

Stando ai dati provvisori Istat, da gennaio a luglio le nascite sono state 4.600 in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Insomma, gli italiani fanno sempre meno figli (1,20 per donna al 2023) e le donne rimandano la decisione fino a dopo i 30 anni: il primogenito arriva in media quando la mamma ha 31,7 anni. Ma senza figli una società non ha futuro. “Il declino demografico – sottolinea il Centro Studi Confindustria nel report ‘I nodi della competitività. La crescita dell’Italia fra tensioni globali, tassi e Pnrr’ – accrescerà la carenza di lavoratori che già oggi è un problema: tra 5 anni la domanda supererà l’offerta di lavoro di ulteriori 1,3 milioni di unità”. È cruciale, dicono gli imprenditori, intervenire per coprire questo fabbisogno.

Ma allora come contrastare il fenomeno? “Contro l’inverno demografico si deve attuare una strategia diversa dalla promozione di un prodotto commerciale”, dice a Fortune Italia Italo Farnetani, professore ordinario di Pediatria Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche United Campus of Malta. Ma vediamo meglio il report Istat.

Una discesa della natalità iniziata 20 anni fa

Nel 2023 per ogni 1.000 residenti in Italia sono nati poco più di sei bambini. L’Istat parla di un trend di lungo corso: nel 2008 si è toccata quota 576mila neonati, un record dall’inizio degli anni Duemila mai più avvicinato. Da allora la perdita è stata di 197mila unità (-34,1%), con un ritmo di 13mila bebè in meno ogni anno. L’Istituto di statistica segnala i “mutamenti strutturali della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra i 15 e i 49 anni”. Le donne in questa fascia di età, insomma, sono sempre meno. E quelle nate negli anni del baby-boom (dalla seconda metà degli anni Sessanta alla prima metà dei Settanta) hanno ormai superato i 49 anni. Ormai a mancare non sono solo i nuovi nati, ma anche le potenziali madri.

I figli con genitori italiani, pari a 298.948 nel 2023, sono circa 12mila in meno rispetto al 2022 (-3,9%) e ben 181mila in meno rispetto al 2008 (-37,7%).

Il caso 2022

Facciamo ora un po’ di chiarezza sui dati del 2022, anno in cui secondo alcuni si sarebbe registrata un’inversione di tendenza, per il recupero dei progetti di natalità rinviati causa pandemia. Non è così: i nati sono stati 393.333, quasi 7mila in meno rispetto ai 400.249 del 2021. A essere aumentati, nel 2022, erano i primogeniti. Una crescita che però non aveva frenato l’emorragia di nascite. E che si è interrotta l’anno dopo: nel 2023 i primogeniti sono stati 186.613, -3,1% rispetto al 2022.

La geografia delle nascite mancate

La diminuzione dei primi figli riguarda tutte le aree del Paese, con il Nord che nel 2023 ‘regge’ di più (-2,8%) e il Centro segnato dal calo maggiore (-3,6%). Il Centro è l’area ad aver registrato il calo maggiore sia dei primi che dei secondi figli (-40,6% per entrambi), mentre nel Mezzogiorno si riscontra un calo meno intenso tanto dei primi figli (-27,5%) quanto dei secondi (-34,5%). “L’allungarsi dei tempi di formazione e di uscita dal nucleo familiare di origine da parte dei giovani, le loro difficoltà nel trovare un lavoro stabile, il problematico
accesso al mercato abitativo, non ultima la scelta volontaria di rinunciare, o comunque rinviare al futuro
il voler diventare genitori, sono tra i fattori che contribuiscono alla contrazione del numero dei primi figli“, sottolinea l’Istat.

L’analisi

Bisogna intervenire, ma come? Secondo il pediatra, che da anni studia il fenomeno, “stimolare in stile commerciale la natalità può avere due effetti negativi: promuovere gravidanze indesiderate o solo parzialmente desiderate e favorire figli unici. Durante l’infanzia e l’adolescenza l’eccessiva attenzione da parte dei genitori riduce gli spazi di autonomia del figlio. Quando poi i figli unici saranno divenuti i grandi, si sentiranno eccessivamente responsabilizzati nei confronti dei genitori che invecchiano. Pertanto in prospettiva – avverte Farnetani – fra qualche decennio rischiamo di avere una popolazione di pensionati a carico dei figli unici“.

Un approccio diverso

E allora? “Servono interventi diversi da quelli attuati finora, anche perché abbiamo notato che gli stessi genitori stranieri arrivati in Italia dopo un po’ fanno meno figli. Il grande tema – dice Farnetani – è quello del lavoro femminile. Un problema che andrebbe risolto a livello di contrattazione collettiva. Insomma, occorre dare uno spazio ben codificato nello Stato sociale all’aspetto della maternità e della paternità. L’intervento più semplice da fare – continua il pediatra – è quello di ridurre i costi necessari per la crescita dei figli. Faccio un esempio: le mense scolastiche costano quanto un aperitivo, che si paga però 5-6 volte a settimana.  Dunque le mense dovrebbero essere gratuite per tutti”.

Anche “l’acquisto dei libri scolastici è impegnativo, e diventa un vero scandalo per un ragazzo che va alle  superiori. Parliamo di libri spesso costosi, e se in teoria gli insegnanti non devono superare un tetto di spesa, alla fine nella realtà tra quelli obbligatori e quelli consigliate ma che poi vanno acquistati si spende quanto un enciclopedia di pregio”. Un problema ben noto ai genitori, che per ovviare si rivolgono ai rivenditori di fiducia come le librerie di quartiere, dove si trovano testi usati a una frazione del prezzo di quelli nuovi.

” Non si capisce perché il diritto allo studio debba essere pagato dalle famiglie con prezzi strabilianti. C’è poi il problema degli alloggi – continua Farnetani – È vero che esiste il mutuo prima casa, ma mi chiedo: siamo sicuri che non si può fare di più per aiutare i giovani o le coppie? Insistiamo perché le banche tornino a essere istituti di credito e concedano mutui alle famiglie, che sono un investimento per la società e per l’economia”.

Quattro leve per la natalità

Infine, mancano ancora “gli asili nido e le scuole dell’infanzia e molti comuni non hanno sfruttato le opportunità offerte dal PNRR”. Insomma, per il pediatra “dare soldi a pioggia alla fine non risolve alla radice il problema mentre questi quattro interventi farebbero la differenza”.

Agire sui costi delle mense, sul prezzo dei libri scolastici, sostenere le famiglie in cerca della prima casa e obbligare o incentivare la costruzione degli asili nido a livello locale sarebbero “quattro interventi semplici da mettere in pratica” che, scommette Farnetani, “potrebbero fare la differenza”. Semplificando la vita degli aspiranti genitori e togliendo il feno alle nascite.

Il controbuto della Pma

“La significativa diminuzione delle nascite in Italia è un fenomeno allarmante che solleva preoccupazioni riguardo alle politiche sociali e demografiche del Paese”, commenta Paola Piomboni, presidente della Società Italiana della Riproduzione Umana (Siru).

“Cambiamenti culturali e sociali, come l’aumento dell’età media per la nascita del primo figlio (31,7 anni) e una diminuzione delle nascite da genitori stranieri, riflettono l’instabilità economica e l’assenza di sicurezza lavorativa. Occorre quindi una riflessione profonda e interventi mirati da parte del Governo e delle Istituzioni, con strategie che incentivino le nascite e sostengano le famiglie, promuovendo la conciliazione tra vita lavorativa e familiare”, evidenzia Piomboni.

“In Italia il contributo delle nascite frutto della procreazione medicalmente assistita (Pma) rispetto a quelle della popolazione in generale è di oltre il 4%, con picchi in alcune regioni come la Toscana e la Lombardia pari al 7%”, aggiunge Antonino Guglielmino, tra i fondatori della Siru. “I migliori risultati che si riscontrano in questi due territori sono dovuti alla possibilità di accedere ai servizi pubblici di fecondazione assistita, ossia senza costi a carico delle coppie. Diventa, quindi, sempre più urgente l’attivazione della Pma nei Livelli Essenziali di Assistenza”.

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