Anatomia di un sorriso. Probabilmente, se si trattasse di un’opera cinematografica, la ricerca coordinata da Yohei Otaka della Fujita Health University School of Medicine avrebbe un titolo simile. Perché davvero, grazie a questo studio, possiamo trarre importanti indicazioni nel nostro modo di comportarci quando ci troviamo a fare una relazione, quando interagiamo con i colleghi, quando insomma dobbiamo entrare in sintonia con le persone che abbiamo davanti.
E così, il sorriso può diventare un’arma strategica di contatto, per “aprire” le resistenze dell’altro, magari eliminando il nervosismo. Soprattutto il sorriso “di ritorno”, quello che noi in qualche modo riceviamo a chi ci ascolta, può essere considerato un parametro sull’influenza del nostro interloquire con il prossimo.
E allora andiamo a vedere cosa accade quando, magari per un talk in pubblico, andiamo a ricercare la risposta da parte degli astanti. Magari per sentirci meno nervosi. Oppure per limitare la tensione. Lo studio giapponese ci spiega proprio questo, stando a quanto apparso su Frontiers in Behavioral Neuroscience.
La ricerca ha preso in esame 40 partecipanti (20 uomini e 20 donne) alle prese con conversazioni faccia a faccia di tre minuti. Durante queste interazioni, agli ascoltatori è stato chiesto di sorridere a diversi livelli, minore, moderato e maggiore, e i sorrisi degli oratori sono stati osservati in risposta. È stato utilizzato un software specializzato per misurare l’intensità e la frequenza dei sorrisi durante le conversazioni.
Cosa succede? Chi parla tende a “rispondere” al volto di chi ascolta. Così, se l’uditorio si lascia andare ad un sorriso, anche l’oratore è più portato a comportarsi allo stesso modo. Tra le curiosità emerse c’è anche una sorta di effetto di “genere” del sorriso. I maschi tendono ad aprire la bocca per sorridere più facilmente se si trovano di fronte ad altri uomini che sorridono, e per le donne accadrebbe lo stesso.
Ma a prescindere da questi aspetti c’è un dato che colpisce. Il sorriso apre la strada ad una miglior interazione, quasi come se fosse un segno di accoglienza da parte dell’altro. La ricerca mostra chiaramente che più l’ascoltatore sorride, più l’oratore si sentiva positivo riguardo all’interazione. Il che significa che davvero il sorriso, come segno di vicinanza, apre la porta ad un rapporto migliore tra le persone. E soprattutto, aumenta i sentimenti e le opportunità di connessione tra gli individui, creando un volano che alla fine porta ad una reciprocità di sentimenti: sorride uno, sorride l’altro e alla fine si sta meglio.
I risultati della ricerca possono aiutare chi si occupa di HR, chi parla in pubblico, tutti noi nelle interazioni quotidiane con gli altri. E la metrica del sorriso può diventare una misura indiretta del successo che si può avere. Perché, alla fine, ci specchiamo negli altri. Le espressioni di chi parla sono influenzate da quanto e quanto intensamente sorride l’ascoltatore, in particolare nelle conversazioni tra individui dello stesso genere. E la sincronizzazione del sorriso è essenziale per creare legami sociali e promuovere sentimenti positivi durante le interazioni.
Sia chiaro, stiamo parlando solo di un aspetto della comunicazione non verbale. Perché il volto dice molto. E allora, ricordiamo che lo studio di Otaka è partito dall’importanza delle modalità di interazione tra due individui come strumento per la valutazione di decadimento cognitivo e problemi psicologici. Insomma, il sorriso non è solo un’arma per farci interagire con gli altri. Ma potrebbe diventare un parametro per studiare il progressivo allontanamento dalla realtà delle persone, oltre che descrivere i risultati della riabilitazione. Intanto, ricordiamoci di sorridere e di avere un atteggiamento aperto nei confronti dell’altro. Ne guadagneremo certamente!